di Angela Gabriele
Corte di Cassazione, Sezione V penale, sentenza n. 30177 del 4 giugno 2013 e depositata il 12 luglio 2013
[dropcaps style=”fancy”]F[/dropcaps]in dal 1970, nei luoghi di lavoro, l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori vieta al datore di lavoro l’uso di impianti audiovisivi per finalità di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti. Viene concessa una deroga nei casi in cui le apparecchiature di controllo siano richieste da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma se può derivarne anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installate soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, dopo specifica autorizzazione dall’Ispettorato del lavoro.
Per giurisprudenza anche a seguito del solo consenso scritto da parte di tutti i lavoratori. Infatti, con la sentenza n. 22611 depositata l’11/06/2012, la Cassazione ha escluso l’operatività sanzionatoria dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori quando l’installazione di un impianto di videosorveglianza in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, sia stata autorizzata preventivamente per iscritto da tutti i dipendenti: “l’interpretazione della norma deve sempre avvenire avendo presente la finalità che essa intende perseguire. Se è vero … che la disposizione di cui all’articolo 4 intende tutelare i lavoratori contro forme subdole di controllo della loro attività da parte del datore di lavoro e che tale rischio viene escluso in presenza di un consenso di organismi di categoria rappresentativi …, a fortiori, tale consenso deve essere considerato validamente prestato quando promani proprio da tutti i dipendenti”.
Può però sorgere la necessità di tutelare il datore di lavoro da eventuali illeciti del lavoratore che potrebbero danneggiare l’impresa e, in tal caso, per l’installazione di impianti audiovisivi ci si deve rivolgere al Giudice per l’autorizzazione anche al fine di poter utilizzare le riprese ottenute quali valide prove processuali. Ma il caso esaminato dalla Cassazione Penale, con la sentenza n. 30177 del 12 luglio 2013, configura un’ipotesi ancora diversa in cui l’installazione di impianti audiovisivi non necessita di alcuna autorizzazione e le relative riprese sono perfettamente utilizzabili nel processo.
Si tratta di diversi episodi di truffa aggravata commessi dai dipendenti di una azienda circa loro ritardi o assenze nel recarsi al lavoro che potevano essere accertati fuori dei luoghi deputati all’attività lavorativa. Ricostruendo i fatti, alcune riprese video realizzate nell’arco di due settimane (effettuate unitamente ad appostamenti diretti di polizia giudiziaria) consentivano di notare da gesti eloquenti che una dipendente effettuava più registrazioni di presenza, facendo passare più volte schede badge nel lettore. Sulla scorta della valutazione incrociata degli elementi (riprese, registrazioni dell’orologio marcatempo e osservazione diretta) si sono così individuati i dipendenti che fisicamente
non avevano fatto ingresso ma che, per le molteplici registrazioni di badge operate da una sola impiegata complice,
risultavano “fittiziamente” a lavoro. Non si era verificato se l’assenza dei predetti dipendenti si fosse protratta per tutto l’arco delle giornate lavorative e dunque non si poteva escludere che le tre impiegate si fossero recate al lavoro dopo tale evento ma comunque sicuramente in ritardo. In ogni caso, considerandone la reiterazione in vari giorni, i giudici di merito in primo grado ritenevano sussistere il reato di truffa aggravata ai sensi dell’articolo 61 c.p., nn. 9 ed 11 (circostanze aggravanti per i casi di pubblico servizio).
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