GiurisprudenzaII_MMXIIIMichele Iaselli

INTEGRA IL DELITTO EX ART. 494 C.P. PUBBLICARE SULLA CHAT LINE IL RECAPITO TELEFONICO DI ALTRA PERSONA ASSOCIATO A UN NICKNAME DI FANTASIA

di Michele Iaselli

Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza n. 18826 del 28 novembre 2012 e depositata il 29 aprile 2013

La Corte ha affermato che, nell’ottica di una interpretazione meramente estensiva dell’art. 494 cod. pen., debba ritenersi integrare il delitto di “sostituzione di persona” la condotta di chi inserisca nel sito di una chat line a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associato ad un nickname di fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla medesima, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale.


 

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame affronta uno degli argomenti più attuali che coinvolgono in pieno la rete Internet e cioè la configurabilità dell’art. 494 c.p. (Sostituzione di persona) con riferimento ad una chat telematica. Il caso è tipico e cioè divulgazione da parte dell’accusata su una chat telematica del numero di utenza cellulare della sua ex datrice di lavoro (con la quale aveva in corso una pendenza giudiziaria di natura civilistica) che, di conseguenza, riceve, anche in ore notturne, molteplici chiamate e messaggi (SMS) provenienti da vari utenti della chat, interessati ad incontri ovvero a conversazioni di tipo erotico. Le conseguenze si rivelano anche più fastidiose, poiché molti utenti utilizzano frasi ingiuriose, o inviano MMS con allegate immagini pornografiche.

Con tale condotta, quindi, l’imputata ha tratto in inganno i suddetti utenti, determinandoli a recare molestia o disturbo alla sua ex datrice di lavoro e ad offenderne l’onore ed il decoro. Nasce però il problema di dover accertare se tale condotta integri il reato di cui all’art. 494 c.p. concepito in epoca nettamente anteriore alla nascita delle nuove tecnologie e quindi di Internet. In tale contesto la difesa dell’imputata ha buon gioco nell’eccepire che la pubblica fede può essere pregiudicata da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali, non ad un semplice numero di telefono diffuso tra l’altro via chat.

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