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LA RIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI TRA TUTELA DELLA PRIVACY, DELLE ESIGENZE DI GIUSTIZIA E DELL’INFORMAZIONE

di Michele Iaselli

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Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario

Il 14 giugno 2017 la Camera dei deputati ha definitivamente approvato la proposta di legge C. 4368, che modifica l’ordinamento penale, sia sostanziale sia processuale, nonché l’ordinamento penitenziario. Il provvedimento è il frutto della unificazione in un unico testo, oltre che di una pluralità di disegni di legge di iniziativa di senatori, di tre progetti di legge già approvati dalla Camera: il disegno di legge di iniziativa governativa C. 2798 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena, S. 2067), la proposta di legge Ferranti ed altri C. 2150 (Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato, S. 1844) e la proposta di legge Molteni C. 1129 (Modifiche all’articolo 438 del codice di procedura penale, in materia di inapplicabilità e di svolgimento del giudizio abbreviato, S. 2032). La proposta di legge è stata approvata dal Senato il 15 marzo 2017, a seguito della approvazione di un maxiemendamento del Governo, ed è costituita da un unico articolo, suddiviso in 95 commi.

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La recente riforma del processo penale approvata dal Parlamento prevede la delega al Governo per disciplinare nello specifico alcuni argomenti particolarmente scottanti tra cui le intercettazioni che da tempo rappresentano uno dei nodi più difficili da sciogliere nel panorama normativo italiano. Diversi, difatti, sono gli interessi in gioco tutti di rilevanza costituzionale quali la privacy dei cittadini, la fondamentale esigenza di giustizia che deve garantire la magistratura e il diritto all’informazione rivendicato dalla categoria dei giornalisti.
Nello specifico tra i 95 commi dell’articolo unico della riforma le intercettazioni sono ai commi 84 e 85. La legge fornisce indicazioni in merito alle tre fasi fondamentali connesse alle intercettazioni: l’acquisizione, la loro diffusione e la divulgazione.

La riforma prevede, innanzitutto, un’udienza dinanzi al GIP tra PM e difensori, per selezionare e valutare quante delle intercettazioni siano utilizzabili rispettando le esigenze delle indagini. Nella legge delega al Governo si specifica che: “dovrà essere tutelata in particolare la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte e delle comunicazioni comunque non rilevanti ai fini di giustizia penale”. La tutela viene prevista anche per le conversazioni tra difensore ed indagato, che non sono utilizzabili. Indubbiamente queste udienze filtro per selezionare le intercettazioni se da un lato svolgono una funzione di maggiore garanzia, dall’altro possono ostacolare o quanto meno rallentare le indagini e questo aspetto non è visto di buon occhio dai magistrati.
La riforma è andata anche al di là di semplici petizioni di principio introducendo indicazioni di selezione delle conversazioni intercettate: quelle non utilizzabili faranno parte di un archivio riservato e potranno essere ascoltate e lette dai difensori e dal giudice, senza che se ne possa fare una copia fino a quando verrà decisa la loro eventuale rilevanza.

Inoltre si prevede un nuovo reato: la diffusione di immagini o registrazioni acquisite “fraudolentemente”, con l’unico obiettivo di recare danno all’altrui reputazione (naturalmente questo è l’aspetto che riguarda i giornalisti), se, invece, le registrazioni o le riprese sono inserite in un procedimento giudiziario o amministrativo, o vengono utilizzate per esercitare il diritto alla difesa o il diritto di cronaca, la diffusione non è punita. Questo forse rappresenta uno degli aspetti più critici della riforma poiché bisognerà capire quali siano gli effettivi contorni dell’esercizio del diritto di cronaca. Aspetto fondamentale della riforma è la distinzione tra divulgazione delle intercettazioni, che riguarda l’acquisizione delle conversazioni e la loro diffusione, che è il momento finale legato al lavoro dei cronisti. Ma c’è anche un nuovo elemento, introdotto dal Senato, che divide giuristi e commentatori e cioè la possibilità di eseguire intercettazioni utilizzando i “captatori informatici”, i cosiddetti virus trojan, già consentita dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 26889 del 28 aprile 2016 sebbene limitandola ai soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata. Queste intercettazioni saranno riversate su un server della Procura, con programmi informatici autorizzati (conformi a requisiti tecnici stabiliti con decreto ministeriale da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione) e inserimenti a distanza solo per alcuni reati: associazione mafiosa e associazione a delinquere semplice finalizzata a contraffazione, pornografia e prostituzione minorile. Inoltre i trojan potranno essere utilizzati d’urgenza per interrompere la commissione di reati, salvo poi chiederne la convalida al giudice entro 48 ore.
Quindi da una parte viene estesa l’originaria previsione della Cassazione e dall’altra si introducono dei vincoli ben precisi, anche se rimane sempre alta la discrezionalità del giudice nel valutare la legittimità dello strumento informatico che, in effetti, rimane per le sue caratteristiche tra i più invasivi esistenti.

 

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