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La pubblicazione delle intercettazioni non viola il diritto del ricorrente ad un giusto processo o la presunzione di innocenza

L’articolo mediatico e le registrazioni pubblicate dalla Security Intelligence Agency non violano il diritto del ricorrente ad un giusto processo o la presunzione di innocenza ai sensi dell’articolo 6 §§ 1 e 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Lo ha stabilito la Corte dei diritti dell’uomo con la sentenza Tadic contro Croazia depositata il 28 novembre scorso (n. 25551/18, CASE OF TADIĆ v. CROATIA) con la quale la Corte rafforza la tutela della libertà di stampa e chiarisce che non si può sostenere che giudici professionisti possano essere influenzati da articoli apparsi sulla stampa o da rumors.

Il CASO TADIC C. CROAZIA è un procedimento penale nel quale il ricorrente è stato riconosciuto colpevole di aver collaborato con più persone allo scopo di influenzare la Corte Suprema, mediante il pagamento di una somma di denaro, affinché pronunciasse una decisione favorevole ad un bene -noto politico processato per un crimine di guerra


Il ricorrente lamentava che la Corte Suprema, in quanto corte d’appello nel suo caso, non era stata imparziale a causa delle circostanze relative al suo presidente, che aveva testimoniato come testimone dell’accusa. Egli ha inoltre lamentato che la pubblicazione sui media – due mesi prima che la Corte Suprema adottasse una decisione sul suo caso – delle registrazioni delle sue conversazioni telefoniche effettuate dalla Security Intelligence Agency aveva esercitato pressioni sui giudici della Corte Suprema affinché confermassero la sua condanna e aveva ha violato il suo diritto alla presunzione di innocenza.

La Corte europea dei diritti dell’uomo rileva che le registrazioni contestate delle conversazioni telefoniche del ricorrente sono state effettuate dalla Security Intelligence Agency prima che fosse aperta l’indagine nei confronti del ricorrente e che, come incontestabile dal ricorrente, esse non sono state utilizzate come prova nel processo procedimento penale, né hanno mai fatto parte del fascicolo contro il ricorrente.

La Corte rileva inoltre che tali registrazioni e le relative trascrizioni sono state pubblicate sui media nel dicembre 2016 e che la sessione della commissione d’appello nel caso del ricorrente si è tenuta nel febbraio 2017 – appena otto settimane dopo.

La Corte osserva inoltre che le registrazioni pubblicate e le loro trascrizioni riguardavano le conversazioni telefoniche del ricorrente con il suo ex coimputato e altre persone riguardo al progetto di ribaltare la decisione della Corte Suprema a vantaggio di BG Di conseguenza, anche se il summenzionato articolo di giornale si è limitato a delineare l’accusa contro il ricorrente – sottolineando il fatto che la sua condanna in primo grado non era ancora definitiva – ma avrebbe potuto influenzare la percezione pubblica della colpevolezza del ricorrente.

Inoltre, tenuto conto del fatto che le registrazioni effettuate dalla Security Intelligence Agency avrebbero dovuto rimanere segrete e non essere comunicate a persone non autorizzate, la Corte concorda con il ricorrente che esse non avrebbero potuto essere pubblicate sui media se non fossero state divulgati da un agente dello Stato che ne ha avuto accesso.

A questo proposito la Corte rileva che la denuncia penale che il ricorrente ha presentato nel dicembre 2019 contro dipendenti non identificati della Security Intelligence Agency e della Procura di Stato è ancora pendente dinanzi alle autorità nazionali.

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Tuttavia, è importante sottolineare che il fatto che le autorità siano state la fonte delle informazioni pregiudizievoli è rilevante per la questione dell’imparzialità del tribunale solo nella misura in cui il materiale potrebbe essere considerato dai lettori più autorevole alla luce di la sua fonte. Sebbene l’autorevolezza del materiale pubblicato possa richiedere, ad esempio, un lasso di tempo maggiore, è improbabile che di per sé conduca alla conclusione che un giusto processo da parte di un tribunale imparziale non sia più possibile. In particolare, le accuse secondo cui qualsiasi divulgazione di materiale pregiudizievole da parte delle autorità è stata intenzionale e intesa a minare l’equità del processo sono irrilevanti per la valutazione dell’impatto della divulgazione sull’imparzialità del tribunale di primo grado.

A questo proposito la Corte rileva che il ricorrente è stato già condannato dal tribunale di prima istanza, nel 2013, sulla base delle registrazioni di sorveglianza segreta effettuate su richiesta dell’OSCOC, di cui il ricorrente non ha mai contestato la legittimità e l’autenticità, nonché sulla base di testimonianza – compresa quella dell’ex coimputato del ricorrente, che ha confessato le accuse – che è stata accettata come credibile in quelle parti in cui corrispondeva ad altre prove.

Inoltre, la Corte rileva che l’articolo mediatico in questione si concentrava su personaggi del mondo giudiziario e politico i cui nomi figuravano nelle registrazioni della Security Intelligence Agency, e in particolare sul presidente della Corte Suprema, BH. La Corte ha già constatato che le circostanze riguardanti Il presunto coinvolgimento della BH nel caso contro la BG non ha pregiudicato l’imparzialità dei giudici della Corte Suprema nel caso del ricorrente.

La Corte rileva inoltre che il ricorrente non ha mai contestato l’autenticità delle registrazioni pubblicate dalla Security Intelligence Agency o delle relative trascrizioni, né ha mai sostenuto che fossero state in alcun modo modificate o modificate prima di essere pubblicate sui media.

Inoltre, la Corte osserva che la Corte Suprema ha deciso il caso del ricorrente in un collegio composto da giudici professionisti di grande esperienza addestrati a ignorare qualsiasi suggerimento proveniente dall’esterno del processo. Tali giudici non hanno fatto alcun riferimento all’articolo mediatico contestato né alle registrazioni della Security Intelligence Agency, e nulla nel fascicolo suggerisce che la loro valutazione del caso del ricorrente sia stata influenzata da essi. Essi confermarono la condanna del ricorrente basandosi rigorosamente sulle prove contenute nel fascicolo del caso, ritenendo che il tribunale di primo grado aveva stabilito correttamente tutti i fatti rilevanti e aveva applicato correttamente la legge.

Ne consegue che, indipendentemente dal breve periodo di tempo trascorso tra la pubblicazione da parte dei media delle registrazioni della Security Intelligence Agency e la sessione della commissione d’appello nel caso del ricorrente, non vi è alcuna prova che suggerisca che i giudici della Corte Suprema che hanno deciso i ricorsi nel caso del ricorrente ne furono influenzati.

Le considerazioni che precedono sono sufficienti per consentire alla Corte di concludere che l’articolo mediatico e le registrazioni pubblicate dalla Security Intelligence Agency non hanno violato il diritto del ricorrente ad un giusto processo o la presunzione di innocenza ai sensi dell’articolo 6 §§ 1 e 2 della Convenzione.

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