GiurisprudenzaIII_MMXIIIPietro Errede

IL DIRITTO ALL’OBLIO TROVA UN LIMITE NEL DIRITTO DI CRONACA SE È RINNOVATA L’ATTUALITÀ

di Pietro Errede

Corte di cassazione, Terza Sezione Civile, sentenza n. 16111 del 9 maggio 2013 e depositata il 26 giugno 2013

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto del soggetto a pretendere che proprie, passate vicende personali siano pubblicamente dimenticate (nella specie, c.d. diritto all’oblio in relazione ad un’antica militanza in bande terroristiche) trova limite nel diritto di cronaca solo quando sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione, nel senso che quanto recentemente accaduto (nella specie, il ritrovamento di un arsenale di armi nella zona di residenza dell’ex terrorista) trovi diretto collegamento con quelle vicende stesse e ne rinnovi l’attualità, in caso diverso risolvendosi il pubblico ed improprio collegamento tra le due informazioni in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza.


Il diritto alla cronaca, riveniente dall’interesse pubblico ad essere informati per una tempestiva tutela della società o per un’attrattiva generale della vicenda e/o del personaggio del momento, col tempo si esaurisce e subentra un diritto contrapposto, quello dell’individuo – protagonista di quelle notizie (“vittima e/o carnefice”) – che ha invece il giusto interesse ad essere dimenticato, il c.d. diritto all’oblio. Per la corretta tutela di entrambi i diritti, la giurisprudenza si è spesso pronunciata per fissare dei criteri con i quali valutare volta per volta quale sia più meritevole di protezione.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 16111 depositata lo scorso 26 giugno, ha nuovamente affrontato la questione a proposito di un quotidiano che ha pubblicato due articoli, uno dei quali riportava notizie e dati personali riservati di un ex terrorista ponendoli in collegamento con il ritrovamento, nella città in cui abita, di un arsenale di armi appartenente alle Brigate Rosse. Mentre l’altro pubblicava un’intervista con foto del medesimo interessato. Costui aveva dunque agito presso il Tribunale di Como al fine di ottenere un risarcimento danni dai responsabili delle pubblicazioni per averlo abbinato a fatti di terrorismo cui era ormai del tutto estraneo e per non aver mai rilasciato alcuna intervista. Sosteneva infatti che era stato arrestato nel lontano 1979, in quanto appartenente al gruppo terroristico denominato Prima linea, e che dopo la condanna, scontata la relativa pena, era riuscito con serie difficoltà a costruirsi una nuova vita. Pertanto desiderava non essere più accostato, agli occhi della pubblica opinione, a fatti di terrorismo, perché si trattava di una parte della sua esistenza ormai chiusa, rispetto alla quale voleva soltanto essere dimenticato. Riteneva, perciò, che le suddette pubblicazioni costituissero violazione della Legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e della Legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali).

Il Tribunale però rigettava la sua domanda. In appello invece la Corte di Milano riformava la pronuncia di primo grado e dichiarava che le pubblicazioni in parola costituivano violazione delle suddette leggi. La Corte territoriale innanzitutto rilevava che era stata pubblicata una “intervista” con foto dell’interessato senza il consenso di quest’ultimo. Si era infatti appurato che si trattava di un semplice contatto telefonico, effettuato dopo la pubblicazione del primo articolo da parte del protagonista della vicenda, il quale non voleva rilasciare alcuna intervista bensì invitava la direzione del quotidiano ad astenersi dal procedere ad altre pubblicazioni che lo riguardavano, chiedendo il rispetto della sua vita privata, tanto più che si trattava di episodi risalenti al lontano 1979. Pertanto la Corte milanese evidenziava la mancanza, nella fattispecie, dell’interesse pubblico alla diffusione della notizia. Precisava che per la sussistenza del diritto di cronaca deve esserci un interesse attuale alla conoscenza della notizia. Ormai l’appellante aveva diritto all’oblio in riferimento ad una parte così tormentata della sua vita personale. “Estrarre la foto del (OMISSIS) risalente al 1979 dall’archivio del giornale – fotografia che, accompagnata dal nome e dal cognome, ben consentiva l’individuazione dell’appellante – costituiva una violazione del diritto alla riservatezza, per di più in quanto accostata al ritrovamento di un arsenale di armi nel comasco, appartenente alle disciolte Brigate rosse.

D’altra parte, secondo la sentenza, rievocare, a distanza di tanti anni, una serie di eventi così personali e dolorosi appariva certamente censurabile, dal momento che essi fatti non avevano al momento della pubblicazione alcuna attinenza con il pubblico interesse né tanto meno presentavano aspetti di rilievo sociale”. La Corte d’Appello quindi condannava, in solido fra loro, i convenuti-appellati al risarcimento di 30.000 euro, al pagamento delle spese legali dei due gradi nonché alla pubblicazione della sentenza a loro spese. Questi ultimi ricorrevano in Cassazione, ma tutti i motivi sottoposti sono stati rigettati.

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