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Per il porto d’armi occorre avere una condotta di vita improntata all’osservanza delle norme

Consiglio di Stato, Sezione III, sentenze n. 2158 del 27 aprile 2015 e n. 1072 del 4 marzo 2015

di Pietro Errede

Consiglio di Stato, Sezione III, sentenze n. 2158 del 27 aprile 2015 e n. 1072 del 4 marzo 2015

Il Consiglio di Stato nella sentenza 2158/2015 ribadisce che l’autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza. Con la sentenza 1072/2015 il Consiglio di Stato riafferma il principio per cui l’effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio delle condanne penali di cui all’art. 43 T.U.L.P.S., viene parzialmente meno una volta intervenuta la riabilitazione e, più precisamente, viene meno l’automatismo nel senso che la condanna, per quanto remota e superata dalla riabilitazione, non perde la sua rilevanza in senso assoluto, ma perde l’automatismo preclusivo.

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In Italia la detenzione ed il porto d’armi rientrano nelle autorizzazioni di polizia disciplinate dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) emesso il 18/06/1931 come Regio Decreto n. 773 e aggiornato dal Decreto Legislativo 29/09/2013, n. 121 che contiene disposizioni integrative e correttive del Decreto Legislativo 26/10/2010, n. 204, a sua volta concernente l’attuazione della direttiva 2008/51/CE, che ha modificato la direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi.
Le autorità amministrative che vegliano sulla incolumità dei cittadini e sul mantenimento dell’ordine pubblico sono presenti sia a livello provinciale che locale. “Le attribuzioni dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza sono esercitate dal Prefetto e dal Questore; quelle dell’autorità locale dal capo dell’ufficio di pubblica sicurezza del luogo o, in mancanza, dal Sindaco” (art. 1 , c. 4, TULPS). “Il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d’armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65” (art. 42, TULPS). “Le autorizzazioni di polizia sono personali: non possono in alcun modo essere trasmesse né dar luogo a rapporti di rappresentanza, salvi i casi espressamente preveduti dalla legge” (art. 8, c. 1, TULPS).
Non a tutti però si può concedere una autorizzazione di polizia.

Alcuni criteri generali sui motivi ostativi sono sanciti nell’art. 11, c. 1, TULPS: “Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate: 1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione; 2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza”. Più specificatamente sulla autorizzazione alla detenzione di armi l’art. 43, TULPS, prescrive: “Oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere concessa la licenza di portare armi: a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico; c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”. Quest’ultimo comma lascia quindi ampia discrezionalità alle autorità volta per volta interpellate in merito.

In diverse occasioni il Consiglio di Stato si è dovuto pronunciare sui conseguenti problemi interpretativi. Fra le più recenti la n. 2158/2015 del 27/04/2015. Il fatto riguarda un signore che aveva impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio il provvedimento del Questore della Provincia di Roma che gli aveva negato il rilascio del porto d’armi per uso sportivo. Il T.A.R. accoglieva il ricorso ritenendo il provvedimento impugnato affetto dai vizi di carenza di istruttoria e di motivazione, «atteso che ricollega la perdita del requisito soggettivo della buona condotta ed il rischio di abuso al mero riferimento ad una condanna per il reato di cui all’art. 519 e 62 bis c.p. alla pena di mesi 11 di reclusione risalente a 24 anni orsono». Tra l’altro il ricorrente aveva anche ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Il T.A.R. dunque evidenziava l’assenza di «accurati accertamenti sulla personalità del richiedente indicando in motivazione quali siano i fatti espressivi di pericolosità sociale del ricorrente in base ai quali può essere svolto il giudizio prognostico sulla sua attuale inaffidabilità circa l’uso delle armi». Conseguentemente il Questore e il Ministero dell’Interno appellavano la sentenza del T.A.R. per non aver tenuto in debito conto la natura del reato commesso dal richiedente (atti di libidine violenti in danno di minore di anni quattordici) né la natura ampiamente discrezionale del potere di rilascio e di revoca dell’autorizzazione.
Il Consiglio di Stato, nell’accogliere l’appello, ricorda che, “per giurisprudenza pacifica, l’autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza (da ultimo, Consiglio di Stato, Sezione III, n. 1270 dell’11 marzo 2015). La valutazione che compie l’Autorità di Pubblica Sicurezza in materia è caratterizzata, quindi, da ampia discrezionalità e persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili. Pertanto il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1270 dell’11 marzo 2015, cit, Sez. III, n. 5398 del 14 ottobre 2014)”.
La casistica può essere di varia natura. Ad esempio, il Prefetto di Bari con un decreto del 16/12/2009 ha rigettato l’istanza di revoca del provvedimento cautelare di divieto di detenzione di armi e munizioni nei confronti dell’incensurato richiedente perché in due distinte occasioni, a distanza di anni, lo stesso era stato “fermato in compagnia di un noto pregiudicato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale”.
Infatti la licenza di porto d’armi può essere negata o revocata anche in assenza di pregiudizi e controindicazioni connessi al corretto uso delle armi o a fatti di reato veri e propri. In tali casi la motivazione si baserà su vicende e situazioni personali che, pur non assumendo rilevanza penale, fanno desumere la non completa “affidabilità” del soggetto interessato all’uso delle armi. A sancirlo anche il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza n. 3979 del 29 luglio 2013.
Tornando alla più recente sentenza del Consiglio di Stato n. 2158/2015, in essa si evidenzia altresì che non è priva di rilievo la circostanza che “il titolo di polizia era stato richiesto per la prima volta e per un uso sportivo, quindi per una finalità che risultava certamente recessiva rispetto all’esigenza di tutelare l’incolumità pubblica. Senza contare che, come pure ha sottolineato l’Avvocatura dello Stato, la finalità sportiva può essere appagata senza che sia necessario disporre di una propria arma personale”. Ciò fa desumere che la valutazione del Questore o del Prefetto potrà/dovrà effettuare una valutazione a 360 gradi, considerando pure la finalità per cui viene fatta istanza di porto d’armi. Hanno valore differente un’istanza fatta per la possibilità di esercitare un hobby e una per poter svolgere una professione. “Nel primo caso, l’interesse a poter utilizzare armi ben può essere recessivo, rispetto a quello dell’incolumità pubblica, anche laddove vi sia una valutazione meramente prognostica della possibilità che il soggetto non offra piena garanzia di non abusare delle armi. Nel secondo, il bilanciamento degli interessi opera in modo diverso, considerato che l’uso dell’arma è strumentale alla possibilità di esercitare una professione”, nella fattispecie guardia giurata, (TAR Lombardia –Brescia-sentenza n. 02611/2010).
Riprendendo invece il caso principale in argomento, in merito alla riabilitazione e alla vetustà della condanna penale (circa 24 anni), “non appare manifestamente irragionevole la determinazione del Questore di Roma che non ha dato decisivo rilievo a tali elementi, che pure conosceva perfettamente, tenuto conto delle valutazioni fatte sulla non completa affidabilità (all’uso delle armi) del signor … che si era macchiato (in passato) di un grave reato con l’uso di violenza. Peraltro, se è vero che la riabilitazione fa venire meno le conseguenze direttamente riconducibili alla condanna penale tuttavia ciò non impedisce che la vicenda penale possa costituire oggetto della valutazione compiuta ai fini del rilascio di un porto d’armi”. A conferma di ciò anche Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5595 del 14 novembre 2014.
A tal proposito è illuminante la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1072 del 04 marzo 2015 emessa a seguito di appello di un cittadino che lamentava come erroneo il diniego di porto d’armi, emesso prima dal Questore e confermato poi dal T.A.R., perché basato sull’esistenza presuntivamente ostativa di condanne del richiedente, negli anni ‘80, per il reato di detenzione illegale di armi e munizioni nonché per il reato di ricettazione e tentato furto, quando ormai era intervenuta la riabilitazione.

Il Consiglio di Stato ha chiarito che “l’effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio delle condanne penali di cui all’art. 43 T.U.L.P.S., viene parzialmente meno una volta intervenuta la riabilitazione e, più precisamente, viene meno l’automatismo. La condanna, per quanto remota e superata dalla riabilitazione, non perde la sua rilevanza in senso assoluto, ma perde l’automatismo preclusivo e può semmai essere posta a base di una valutazione discrezionale, che terrà conto di ulteriori elementi, quali ad esempio altre circostanze (non necessariamente di carattere penale) ovvero la intrinseca gravità del reato, e simili (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 10.7.2013, n. 3719). Ma il diniego questorile, nel caso di specie, si è limitato ad affermare che le condanne sarebbero sic et simpliciter ostative al rilascio della licenza, senza compiere alcuna valutazione dei fatti oggetto delle due condanne, risalenti a venticinque anni prima rispetto alla sua emissione, e quindi facendo sostanziale, immotivata ed erronea applicazione dell’automatismo preclusivo senza dubbio escluso dalla intervenuta riabilitazione. Il provvedimento, dunque, è illegittimo e s’impone per conseguenza l’obbligo, in capo all’autorità amministrativa, di rivalutare l’istanza, verificando attentamente se fatti risalenti ad oltre venti – ormai, anzi, trenta – anni prima, per i quali è intervenuta riabilitazione, costituiscano ad oggi, per la loro gravità o per altre circostanze, elementi effettivamente ostativi al rilascio del titolo per difetto della buona condotta”.

Dunque è la valutazione discrezionale del Questore/Prefetto al centro della decisione che non può però trasformarsi in mero arbitrio. L’iter ed il merito motivazionale saranno sempre passibili di dichiarazione di illegittimità da parte del Giudice nel momento in cui risulteranno illogici, contraddittori o carenti. Ad esempio il T.A.R. Piemonte, Sez. I, 7/02/2014, n. 254 ha annullato due decreti uno prefettizio che vietava la detenzione di armi e uno questorile che revocava la licenza di porto di fucile per uso caccia nei confronti della stessa persona perché carenti di motivazioni concrete: “il provvedimento si fonda sulle mere dichiarazioni di parte, prive di qualsivoglia riscontro fattuale” – i vicini avevano effettuato esposti/denunce per atteggiamenti ingiuriosi del ricorrente ma neppure azionato delle querele e non vi erano mai stati interventi di forze dell’ordine nella dialettica fra vicini – “per altro emerge in atti che, pacificamente, i vicini di casa del ricorrente hanno abitudini di vita certamente non coerenti con quelle del sig. … (quest’ultimo è cacciatore e pratica anche attività di macellazione suini; i vicini di casa, tra l’altro, ospitano e tutelano animali nell’ambito della loro proprietà seguendo orientamenti di carattere animalista)”. In altri casi il provvedimento è stato annullato perché contraddittorio: “il diniego di detenzione di armi e munizioni o di revoca della licenza è illegittimo qualora non emergano dal contenuto motivazionale le ragioni del mutamento di orientamento in relazione alle medesime condizioni soggettive ed oggettive che per il passato erano state ritenute idonee (T.A.R. Campania, Napoli, V, 26.4.2007; T.A.R. Piemonte, 23.1.2003, n. 106)”, richiamato da T.A.R. Campania, Napoli, V, N. 27142 del 09/12/2010.

A corollario di tutto ricordiamo che lo scorso 4 maggio è scaduto il primo termine per presentare il certificato medico di idoneità psicofisica alla detenzione di armi in casa e che andrà rinnovato ogni sei anni (art. 38, c. 4, TULPS), ciò a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 121 del 29/09/2013. Anche questo sarà un ulteriore elemento a supporto di Questori e Prefetti per il rilascio o meno delle autorizzazioni di detenzione e porto d’armi. ©

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