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IL RAPPORTO TRA L’ARRESTO IN FLAGRANZA DI REATO E LA PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO

di Antonio Di Tullio DElisiis

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Il rapporto tra l’art. 131-bis c.p. e l’art. 385 c.p.p.

Diverse tesi ermeneutiche si sono contrapposte sul tema inerente il margine di applicabilità riservato all’istituto della particolare tenuità del fatto nel caso di fermo e arresto. Lo scopo del presente approfondimento è quello di provare a comporre siffatto contrasto interpretativo ipotizzando, tra Le diverse tesi, l’orientamento da ritenersi preferibile.

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1.     Introduzione
Come è noto, è stata recentemente introdotta nel nostro ordinamento giuridico una nuova causa di non punibilità vale a dire l’istituto della particolare tenuità del fatto attualmente previsto dall’art. 131-bis c.p. Detta norma giuridica, introdotta nel nostro sistema codicistico dall’art. 1, co. II, decreto legislativo, 16 marzo 2015, n. 68, dispone quanto segue: «Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale» (art. 131-bis, co. I, c.p.).
Posto ciò, nel presente scritto si intende affrontare il tema inerente il rapporto tra detta disposizione legislativa e l’art. 385 c.p.p. che, come è risaputo, prevede quanto sussegue: «L’arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità».

Infatti, fermo restando che, salvo che ricorra una circostanza attenuante ad effetto speciale, «non è ipotizzabile che possano sorgere questioni con riferimento al fermo che (…) prevede un limite edittale superiore a quello di applicabilità della causa di non punibilità», per quanto invece concerne l’arresto, la correlazione tra l’art. 385 c.p.p. e l’art. 131-bis c.p. non è priva di risvolti pratici in quanto si pone il problema di comprendere:

se detta norma procedurale rilevi sempre nel caso di specie;
quale tipo di valutazione è tenuta a compiere la polizia giudiziaria [in caso di risposta affermativa al quesito precedente];
quale vaglio critico è tenuto a fare il giudice in sede di convalida.

 

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2.     Se detta norma procedurale rilevi sempre nel caso di specie

Ebbene, per quanto attiene la questione di cui alla lettera a), l’istituto della particolare tenuità, proprio in quanto causa di non punibilità, non dovrebbe mai consentire l’arresto. Difatti, detta causa di non punibilità dovrebbe ricevere applicazione come tutte le altre previste dal codice di rito dato che la «presenza di una causa di non punibilità, come’è noto, non consente l’applicazione di misure cautelari (273, co. 3, c.p.p.) o dell’arresto (…) (art. 385 c.p.p.)».

A questo riguardo, è stato giustamente osservato che, a seguito dell’introduzione di questa novella legislativa, troveranno «applicazione, anche per la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, le disposizioni e i principi relativi alle altre cause di non punibilità (salvo che sia diversamente previsto): i presupposti o requisiti sono “oggetto di prova” ai sensi dell’art. 187 c.p.p.; conseguono diversi effetti processuali (ad esempio, inapplicabilità di misure cautelari ex art. 273, c. 2, c.p.p., divieto di arresto ex art. 385 c.p.p.), tra i quali l’assoluzione ex art. 530 c.p.p. anche in caso di dubbio sull’esistenza di una causa di non punibilità (art. 530, c. 3, c.p.), etc. ».
Non si vedono dunque le ragioni, almeno in punto di diritto, perché l’affermazione appena citata non possa essere condivisa con particolare riferimento a quanto statuito dall’art. 385 c.p.p.

Come infatti rilevato in sede inquirente: 1) per l’arresto obbligatorio, pur rilevandosi che «in molti casi i limiti edittali previsti in generale e le pena delle specifiche ipotesi previste non consente di ipotizzare l’applicabilità della causa di non punibilità», è stato tuttavia precisato che potrebbero «residuare, in via di mera ipotesi, alcuni casi di reato tentato per fattispecie espressamente previste, quali i furti tentati previsti dall’art. 380 co. 2, lett. e) ed e-bis) che, però, espressamente escludono l’arresto nel caso di ricorrenza dell’attenuante della “speciale tenuità” che delinea un fatto (che impedisce la misura restrittiva) di “maggiore rilievo” rispetto alla “particolare tenuità dell’offesa”»; 2) per l’«arresto facoltativo, in flagranza o fuori flagranza (nei casi consentiti), sembrano difficilmente ipotizzabili problematiche applicative per i contorni con cui è delimitata la causa di non punibilità e per i presupposti dell’arresto che, ai sensi dell’art. 381, co. 4, è giustificato solo dalla gravità del fatto (incompatibile in particolare con la particolare tenuità dell’offesa) ovvero dalla personalità dell’indagato (incompatibile anche con la non abitualità del comportamento)».
Di diverso avviso, il parere manifestato da altrettanto autorevole letteratura inquirente che, muovendo dalla considerazione secondo la quale il riscontro di detta causa di non punibilità «necessita di una sollecitazione in contraddittorio di tutte le parti affinchè ciascuna – e più ancora la vittima, titolare del bene giuridico vulnerato – esprima il proprio intendimento in ordine alla particolare tenuità dell’offesa connessa al reato», è giunta alla conclusione secondo cui «si colgono invero evidenti difficoltà nel ritenere che la causa di non punibilità in discorso possa apprezzarsi e operare in quanto tale nella fase precautelare di polizia giudiziaria, con l’effetto di precludere (rectius vietare) l’arresto (art. 385 cpp)».
In particolare, tra le argomentazioni addotte a sostegno di tale valutazione giuridica, di degno rilievo appare quella inerente al fatto che «anche nelle ipotesi di arresto facoltativo la polizia giudiziaria, nel disimpegno del relativo potere, deve tenere conto alternativamente della “gravità del fatto” ovvero della “pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto” (art. 381, comma 4, cpp) ed è ben possibile pertanto che il solo ricorso al secondo parametro giustifichi l’adozione della misura precautelare dell’arresto sia pure facoltativo».

A fronte di tali pregiate considerazioni, si ritiene che esse non possano far propendere per la mancata applicazione o un’applicazione limitata dell’art. 385 c.p.p. nel caso di specie. Le ragioni di siffatta considerazione giuridica risiedono innanzitutto nelle seguenti argomentazioni:
una limitazione interpretativa di questa norma procedurale potrebbe presentare profili di criticità costituzionale per manifesta irragionevolezza in quanto si andrebbe ad affermare una irragionevole disparità di trattamento, in tema di arresto, per coloro che potrebbero usufruire di una causa di non punibilità tout court rispetto a quella in oggetto;
un’opzione ermeneutica di questo tenore determinerebbe la violazione dell’art. 13, commi I e II, Cost. in quanto si andrebbe a ledere il principio dello status libertatis oltre i casi e i modi previsti dalla legge.

Tra l’altro, il riferimento alla “vittima” non sembra tener conto che, sebbene l’art. 381, co. III, c.p.p. preveda che, se «si tratta di delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza può essere eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria presente nel luogo», nessuna menzione di tale evenienza normativa è stata fatta nell’art. 385 c.p.p. Tale vulnus normativo dovrebbe far denotare non solo come la causa di non punibilità debba prevalere rispetto alla carenza di una condizione di procedibilità, ma anche come il legislatore, almeno rispetto a queste misure pre-cautelari, non abbia dato un particolare ruolo alla vittima del reato rispetto all’applicazione di tali misure. Le misure pre-cautelari, in effetti, proprio in quanto afferenti lo status libertatis, dovrebbero attenere a questioni giuridiche indipendenti dalla facoltà e dai poteri riconosciuti alla parte offesa.
Oltre tutto, considerare l’art. 381 c.p.p., nella parte in cui fa riferimento alla pericolosità del soggetto come requisito da valutarsi disgiuntamente rispetto alla gravità del fatto, per sostenere una potenziale criticità dell’art. 385 c.p.p. rispetto alla fattispecie in esame, non sembra tenere nella dovuta considerazione il fatto che se è vero che, per giurisprudenza costante, «i presupposti della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto non devono essere necessariamente presenti congiuntamente, essendo sufficiente che ricorra almeno uno dei due parametri», è altrettanto vero che, come rilevato similmente anche dalla Procura di Lanciano, la pericolosità del soggetto può consentire anch’essa di negare la concessione di detta esimente nella misura in cui, da detta pericolosità, si evinca che un soggetto abbia commesso reati della stessa indole. Infatti, per un verso, la particolare tenuità del fatto non è consentita se il comportamento risulta abituale(art. 131-bis, co. I, c.p.), per altro verso, è qualificato come comportamento abituale il caso in cui «l’autore (…) abbia commesso più reati della stessa indole» (art. 131-bis, co. III, c.p.). Quindi, dato che tra gli elementi che possono giustificare l’applicazione di una misura pre-cautelare, vi possono essere anche i «trascorsi di Polizia», ben può accadere che, una volta che l’indiziato viene trattenuto perché sorpreso in flagranza o quasi – flagranza di reato, dai controlli effettuati subito dopo, emerga che costui sia un soggetto gravato da precedenti giudiziari specifici rispetto a quello per cui è stato arrestato.
Da ciò dovrebbe conseguire come il richiamo compiuto all’art. 381, co. IV, c.p.p., nei termini appena esposti, non dovrebbe rappresentare un’argomentazione giuridica che depone per una limitazione applicativa dell’art. 385 c.p.p. nella fattispecie in esame.

Da ultimo, non pare rilevare nemmeno l’ulteriore considerazione svolta dalla Preg.ma Procura palermitana e illustrata nei seguenti termini: «nel perimetro edittale consentito dall’art. 131-bis cpp rientrano delitti che addirittura impongono come obbligatorio l’arresto in flagranza: ad esempio, il tentato furto in abitazione (artt. 56, 624-bis cp) e il tentato furto con violenza sulle cose (artt. 56, 624, 625 n. 2 cp) quando in ambedue i casi non ricorre l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cp». Infatti, al di là del fatto che il reato in questione è inquadrabile nell’alveo del tentativo (per il quale detta causa di non punibilità deve ritenersi comunque applicabile), il problema posto dalla Procura non dovrebbe avere alcuna rilevanza nel caso di specie. Invero, proprio perché non ricorre l’attenuante della speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p., ciò dovrebbe deporre per rendere sempre impossibile il riconoscimento della causa di non punibilità in oggetto in questi casi.
Difatti, delitti contro il patrimonio che avrebbero potuto (trattandosi di delitti solo tentati) cagionare un danno non specialmente tenue, difficilmente potrebbero essere qualificabili aliunde come fatti particolarmente lievi.

Del resto, alla medesima conclusione si dovrebbe pervenire se si considera che, sebbene l’art. 131-bis, co. V, c.p. stabilisca che la «disposizione del primo comma (ossia quella che, come suesposto prima, disciplina il modo con cui deve essere riconosciuta la particolare tenuità del fatto ndr.) si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante», è altrettanto evidente che, in assenza di altri elementi che possano militare per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, l’art. 131-bis, co. I, c.p. non potrebbe mai essere applicato ove la circostanza attenuante della particolare tenuità del danno o del pericolo non possa essere riconosciuta. Di talchè, non dovrebbero esserci particolari problemi tecnico-giuridici per reputare attuabile detta causa di non punibilità tra quelle per cui non è configurabile l’arresto.

 

3.     Quale tipo di valutazione è tenuta a compiere la polizia giudiziaria
A questo punto, si pone il problema di capire quale vaglio prognostico è tenuto a fare la polizia giudiziaria ai fini dell’art. 385 c.p.p. e dunque si tratta di esaminare il quesito sollevato nella parte introduttiva di questo scritto sub lettera b). Prima di fare questo, giova però osservare che la valutazione della gravità del reato, richiesta dall’art. 381, co. IV, c.p.p. per procedere all’arresto in flagranza di reati, inevitabilmente rappresenta un momento antecedente e necessario prima che venga effettuato il vaglio richiesto dall’art. 385 c.p.p. Sebbene la gravità del fatto alluda al fatto-reato in sé e per sé considerato mentre la particolare tenuità del fatto involga per contro la particolare tenuità dell’offesa tenuto conto delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo (art. 131-bis, co. I, c.p.), è evidente però che i giudizi valutativi, pur potendo afferire ad elementi diversi (un fatto può ritenersi grave anche se il danno sia stato particolarmente lieve), non sono slegati l’uno dall’altro ma sono logicamente interdipendenti.

In effetti, un fatto grave di per sé può rappresentare un elemento decisivo per escludere l’applicazione della causa di non punibilità in argomento come può essere ad esempio il caso in cui le modalità dell’azione evidenzino un illecito penale talmente grave da escludere che esso possa essere considerato come particolarmente tenue. Non è vero però il contrario, dato che non sempre ogni fatto non grave può considerarsi particolarmente tenue dato che tra fatto grave e fatto particolarmente tenue vi sono diverse gradazioni di offesa la quale, in molti casi, sebbene stimabile non grave, non può nemmeno ritenersi particolarmente tenue (vuoi perché il danno è stato ingente pur in presenza di modalità delittuose lievi, vuoi perché l’autore del reato ha commesso reati della stessa indole di quello per cui si procede). Va da sé, come conseguenza, che ad un primo vaglio prognostico, qual è quello previsto dall’art. 381, co. IV, c.p.p., ne deve per forza di cose seguirne un altro ossia quello contemplato dall’art. 385 c.p.p.

Per quanto attiene il primo scrutinio, non vi dovrebbe essere particolari profili di criticità in quanto, per costante giurisprudenza,  se è vero che «la polizia giudiziaria è tenuta ad indicare le ragioni che l’hanno indotta ad esercitare il proprio potere di privare della libertà in relazione alla gravità del fatto o alla pericolosità dell’arrestato», è altrettanto vero che «tale indicazione non deve necessariamente concretarsi nella redazione di una apposita motivazione del provvedimento, essendo sufficiente che tali ragioni emergano dal contesto descrittivo del verbale d’arresto o dagli atti complementari in modo da consentire al giudice della convalida di prenderne conoscenza e di sindacarle».
Per quanto attiene il secondo momento valutativo, perché rilevi detta causa di non punibilità, è necessario che essa «“appaia” (cioè si manifesti chiaramente) all’agente operante al momento dell’intervento». In altri termini, occorre che detta causa di non punibilità emerga «nel contesto dei fatti che hanno richiesto l’intervento d’urgenza e cioè sia immediatamente rilevabile da parte degli operanti sulla base di una ragionevole valutazione delle circostanze concrete».

La valutazione richiesta, quindi, deve essere duplice. Da un lato, è necessario appurare che il fatto non sia grave. Dall’altro lato, ove il fatto non sia ritenuto tale (e solo dopo che si sia addivenuti a tale conclusione), è fondamentale verificare se esso sia considerabile ictu oculi particolarmente tenue.
Stante il fatto che questo duplice vaglio prognostico può in alcuni casi risultare assai complesso (si pensi ai reati tributari), è del tutto condivisibile l’autorevole opinione di alcune magistrature inquirenti su come sia necessario «un attento, illuminato e prudente intervento del magistrato di turno esterno in grado di valutare, con l’ausilio conoscitivo della p.g. procedente, gli estremi del fatto” attraverso l’illustrazione delle «indicazioni necessarie sull’applicabilità dell’istituto».

Invero, viene garantita in questa maniera una cooperazione fondamentale tra due insostituibili figure processuali che collaborano sempre di concerto quali sono la pubblica accusa, da un lato, e la polizia giudiziaria, dall’altro. In tale modo, difatti, verranno elaborate di volta in volta linee guida che metteranno la polizia giudiziaria in condizione di procedere agli arresti in modo uniforme, e che meglio permetteranno al pubblico ministero di sostenere la loro fondatezza in sede di convalida.

 

4.     Quale vaglio critico è tenuto a fare il giudice in sede di convalida
Venendo a trattare il quesito di cui alla lettera c) (vale a dire che tipo di vaglio prognostico è tenuto a fare il giudice), per quanto attiene il giudizio valutativo richiesto dall’art. 381, co. IV, c.p.p., è stato affermato che la valutazione dei requisiti circa la gravità del fatto e la pericolosità del soggetto ristretto in vinculis è prerogativa della polizia giudiziaria dovendosi escludere che il giudice possa sostituirsi ad essa nell’assolvimento di un siffatto onere motivazionale.
Per quanto attiene invece l’art. 385 c.p.p., per un verso, il «giudice della convalida dell’arresto in flagranza deve operare con giudizio “ex ante”, avendo riguardo alla situazione in cui la polizia giudiziaria ha provveduto, senza tener conto degli elementi non conosciuti o non conoscibili della stessa, che siano successivamente emersi», per altro verso, allo stesso approccio valutativo, a cui è tenuta la polizia giudiziaria, «deve attenersi anche il giudice della convalida nella fase del controllo sull’attività di polizia, del quale non gli è consentito ampliare lo spettro di indagine andando al di là dei dati oggettivi rilevati e rilevabili nel momento dell’intervento ed inserendo nello schema valutativo conoscenze acquisite aliunde o comunque diverse da quelle poste a base dell’arresto (…), come deducibili dalla relativa documentazione».
Di conseguenza, ove la valutazione prognostica circa la particolare tenuità del fatto sia stata negativamente compiuta dalla polizia giudiziaria, difficilmente il giudice della convalida potrà addivenire, in questa fase procedimentale, a un parere di natura diversa.

 

5.     Conclusioni
In conclusione, è evidente che l’art. 385 c.p.p. rileva anche per la particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p., fermo restando che i parametri ermeneutici, in base ai quali dette norme potranno ricevere applicazione, sono assai rigorosi. Infatti, è richiesto che emerga chiaramente una prova, da cui inferire la sussistenza di detta causa di non punibilità, nel momento in cui l’arresto venga compiuto a nulla rilevando la successiva produzione ed esibizione di documenti in sede di convalida che attestino ciò (le quali potranno viceversa valere nel successivo giudizio de libertate). ©


 

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