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LE NUOVE NORME DI ACQUISIZIONE E UTILIZZO DEI DATI FINANZIARI AI FINI DELLE VERIFICHE FISCALI, TRA ESIGENZE DI PRIVACY E PRESUNZIONI LEGALI

di Mauro Vaglio e Simone Covino

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Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 25 marzo 2013 – Prot. n. 2013/37561

La recente realizzazione di una anagrafe tributaria dei rapporti bancari risponde ad una logica di acquisizione di dati più o meno grezzi da parte del Fisco, il quale tenta per questa via di facilitare la lotta all’evasione. Più che i profili di privacy, il limite strutturale a questa tipologia di indagine sta nel fatto che la banca svolge il ruolo “passivo” di depositaria, ed è ignara delle ragioni di versamenti e prelevamenti. Da qui, l’introduzione di presunzioni legali pro fisco, secondo cui tutti i versamenti e i prelevamenti non spiegati dal contribuente, si considerano sic et simplicitercome ricavi evasi.

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A seguito del recente Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 25 marzo 2013, di attuazione dell’art. 11 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201(1), gli intermediari finanziari hanno l’obbligo di trasmettere annualmente per via telematica, all’apposita sezione dell’anagrafe tributaria prevista dall’art. 7, comma 6, del D.P.R. n. 605 del 29 settembre 1973, i dati dei rapporti e operazioni finanziarie dei loro clienti analiticamente indicati in apposita Tabella(2). Il comma 2 del citato art. 11 stabilisce infatti che, a far corso dal 1° gennaio 2012, dovranno essere comunicate all’anagrafe dei conti le movimentazioni che hanno interessato i rapporti ed ogni altra informazione ad essi relativa e necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni. Il comma 3 dello stesso art. 11 consente poi di estendere la comunicazione ad altri dati ritenuti dall’Agenzia delle Entrate utili “ai fini dei controlli fiscali”. Per alimentare l’archivio gli operatori si avvarranno del Sid (Sistema di interscambio flussi dati), il nuovo canale di trasmissione delle Entrate basato sulla interconnessione application-to-applicationtra sistemi informativi e severe misure di sicurezza. Si tratta, nello specifico, dell’obbligo di comunicazione:
a)  dei dati identificativi di ogni conto e rapporto di natura finanziaria, compreso il loro c.d. “codice univoco”, e dei soggetti che ne possono disporre;
b)  del saldo annuale iniziale e finale di ogni conto o rapporto;
c)  della sommatoria annuale di tutte le operazioni rispettivamente in entrata e in uscita sui conti o rapporti;
d)  del numero totale annuo di accessi alle cassette di sicurezza;
e)  dell’ammontare e del numero totale annuo di operazioni extraconto effettuate;
f)  dell’ammontare e del numero totale annuo di operazioni di acquisto o vendita di oro e metalli preziosi; ecc.

Fin qui la novella legislativa parrebbe inserirsi nel solco dei poteri ordinariamente già attribuiti all’Amministrazione finanziaria nell’ambito delle facoltà istruttorie di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, utilizzabili nel corso di un accertamento tributario già avviato: il legislatore ha infatti meglio definito la natura e il dettaglio dei dati da acquisire, l’automaticità e la periodicità di trasmissione all’anagrafe tributaria, le cautele tecniche di trasmissione, utilizzo e conservazione dei dati finanziari(3). Per altro verso, però, il decreto n. 201/2011 consente ora (al comma 4 dell’art. 11) all’Agenzia delle Entrate di utilizzare i  dati dei rapporti e operazioni finanziarie di tutti i contribuenti per elaborazioni statistiche informatiche di massa, volte a ricercare l’emersione di possibili indicatori di anomalia in funzione della posizione fiscale individuale dei singoli contribuenti, sulla cui base formare liste selettive di soggetti “a maggior rischio di evasione” da cui potere quindi estrarre dei nominativi da sottoporre a verifica fiscale.

Rovesciamento della prospettiva: prima l’accesso ai dati, poi l’eventuale controllo
Si ammette quindi la possibilità di rovesciare il quadro di riferimento precedente, in cui cioè la compressione della sfera privata e finanziaria dei contribuenti era possibile solo a seguito di un accertamento tributario già avviato. Premesso che in Italia non si è mai riconosciuto un diritto costituzionalmente tutelato al segreto bancario, e che la tutela della mera “riservatezza” bancaria non può dunque spingersi fino a comprimere altri precetti costituzionali, come quello di contribuzione alla spesa pubblica secondo capacità contributiva ex art. 53 Cost.(4), le tutele alla riservatezza del contribuente fino ad oggi disegnate dalle norme(5) prevedono:
– l’obbligo di un preventivo avvio dell’accertamento fiscale nei confronti del contribuente di cui si vuole indagare i rapporti ed operazioni finanziari i quali, quindi, non possono costituire l’innesco di una verifica;
– l’obbligo della necessaria motivata autorizzazione preventiva del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, o del Direttore regionale della stessa, ovvero del Comandante regionale per il Corpo della Guardia di Finanza, dietro richiesta motivata da parte dei rispettivi uffici periferici
procedenti all’accertamento fiscale;
– le particolari cautele di protezione informatica all’invio, all’uso ed alla conservazione dei dati;
– le restrizioni in relazione ai soggetti individuati dalla norma, all’interno degli uffici procedenti e presso gli operatori finanziari, abilitati all’accesso a tali dati;
– le sanzioni in ordine alle violazioni di tali procedure;
– le prescrizioni dell’Autorità Garante della Privacy, di cui ai provvedimenti del 17 aprile 2012, 15 novembre 2012 e 31 gennaio 2013, sull’utilizzo dei dati finanziari previsto dal D.L. n. 201/2011.

Tali norme non sono state in effetti abrogate, ma si rischia un loro aggiramento con il decreto citato, divenuto operativo grazie al recente provvedimento dell’Agenzia Entrate. In pratica, ciò può comportare un preliminare setaccio indiscriminato(6) di tutti i risparmi, le operazioni ed i rapporti finanziari di ogni cittadino; dopodiché, in caso di emersione di qualche anomalia, verrà avviato l’accertamento fiscale, magari chiedendo un’autorizzazione gerarchica “postuma” all’accesso ed utilizzo fiscale di quegli stessi dati sui conti, rapporti ed operazioni, che hanno “dato il la” all’accertamento stesso. Chiaramente il valore di tutela di un’autorizzazione, concessa dopo che il comportamento da autorizzare sia già stato posto in essere, è alquanto risibile, e si rischia di discriminare illegittimamente coloro che sono oggetto di una “fishing expedition”(7) rispetto ai destinatari di un accertamento bancario classico, retto cioè dalle norme e dai limiti sopra accennati.

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Limiti strutturali delle banche dati finanziarie e loro superamento attraverso presunzioni legali
Più in generale, ed al di là delle criticità di questo ampliamento delle modalità di controllo finanziario, il tentativo di utilizzare, come grandi “banche dati” i conti bancari, deve fare pur sempre confrontarsi col fatto che la banca svolge solo un ruolo “passivo” di depositaria delle somme versate, e non è in grado di informare il Fisco sulle ragioni di versamenti e prelevamenti. Le presunte “anomalie” di cui al paragrafo precedente, potrebbero ad esempio risolversi in un nulla di fatto per motivi finanziari che nulla hanno a che vedere con l’evasione fiscale: come nel caso, assolutamente innocuo, di un frequente spostamento di fondi da un conto corrente ad un altro, allo scopo di tamponare scoperture su affidamenti su vari conti.

Le difficoltà strutturalmente connesse all’uso massiccio di banche dati– che spesso offrono all’analista dati troppo grezzi o troppo numerosi – sono alla base di presunzioni legali relative che la migliore dottrina definisce “vessatorie”, secondo cui “tutti i versamenti e i prelevamenti non spiegati dal contribuente, si considerano sic et simpliciter come ricavi o compensi evasi (art. 51 comma 2 decreto IVA e art. 32 n. 2 decreto 600). La disposizione, per molti versi irrazionale, soprattutto per la contraddittoria rilevanza reddituale dei prelevamenti, asseconda la tendenza degli uffici a considerare meccanicamente i versamenti e i prelevamenti come ricavi, lasciando che il contribuente si tragga d’impaccio in sede giurisdizionale, cosa molto difficile vista la sbrigatività del processo tributario. Il carattere vessatorio di queste presunzioni è attenuato solo dalla scarsità numerica di simili indagini”(8). In particolare, i versamenti di cui il contribuente non riesce a dare giustificazione sono posti a base della rettifica fiscale, e sono in pratica accertati come ricavi non dichiarati.

I prelevamenti, dal canto loro, sono considerati come acquisti non contabilizzati ai fini della pena pecuniaria prevista dall’art. 41 dell’IVA.Vi è spazio, dato il riferimento simultaneo della normativa a “versamenti” e “prelevamenti”, ad accertamenti in cui si considerano come ricavi entrambi tali movimenti bancari, con un effetto di duplicazione assolutamente distorsivo della corretta determinazione della capacità contributiva. Talvolta i verificatori acquisiscono infatti le copie dei conti bancari, e passivamente si limitano a chiedere al contribuente di dimostrare le ragioni dei versamenti, accertando come reddito quelli non giustificati ed eccedenti i ricavi dichiarati. Al fondo di questa argomentazione ci può, in molti casi concreti, anche essere un fondamento, perché talvolta le eccedenze dei versamenti bancari rispetto ai ricavi registrati possono riferirsi, in mancanza di più convincenti spiegazioni, a ricavi non contabilizzati. Si pensi ad esempio a una costante eccedenza giornaliera dei versamenti bancari rispetto ai ricavi registrati. Bisognerebbe però analizzare il contenuto dell’attività svolta, ed il modo in cui i versamenti si distribuiscono nel tempo: è molto più probabile che si riferiscano a ricavi occultati da un ristorante 90 versamenti da un milione, distribuiti su 90 giorni consecutivi, di un versamento di 90 milioni avvenuto “una tantum”.

È in ogni caso evidentemente disagevole per il contribuente ricostruire le ragioni di movimenti avvenuti in denaro o con assegni tratti su banche diverse da quella in cui il contribuente intrattiene il proprio conto. Poniamo ad esempio che il contribuente versi presso il proprio conto intrattenuto alla Banca A un assegno emesso su un conto della Banca B(9); in tal caso la Banca A, con cui il contribuente è in contatto, non conserva l’assegno ma lo trasmette alla Banca B dove l’emittente ha il conto, ed è quindi impossibile per il contribuente risalire a posteriori alla relativa causale.

In conclusione, anche se vengono rispettate le cautele descritte al primo paragrafo, la migliore dottrina avverte che la normativa in esame rischia di per sé di mettere nei guai contribuenti che nulla hanno evaso, ma che non riescono, per disattenzione o imprevidenza, a dimostrare a posteriori l’irrilevanza fiscale del versamento stesso. È quindi compito precipuo dell’Amministrazione Finanziaria utilizzare cum grano salisqueste tipologie di accertamento, potenzialmente distorsive dei principi di corretta determinazione della capacità contributiva. ©

NOTE
1.  Convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214.
2.  A regime, la scadenza annuale per la trasmissione telematica
da parte degli intermediari è stata fissata al 20 aprile dell’anno
successivo a quello a cui si riferiscono i dati. Mentre per i dati
delle pregresse annualità 2011 e 2012, la scadenza è stata fissata
rispettivamente al 31 ottobre 2013 e al 31 marzo 2014.
3.  Che, ai sensi del comma 3 del D.L. n. 201/2011, possono essere
conservati solo entro i termini massimi di decadenza previsti in
materia di accertamento delle imposte sui redditi.
4.  C. Cost. n° 51/1992; si veda anche l’Ord. n° 260/2000, dove si
rimette al legislatore ordinario l’apprezzamento dell’opportunità
di proteggere il segreto bancario senza che però ci si possa
spingere fino ad ostacolare il controllo dell’adempimento dei
doveri fiscali.
5.  Artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973, dal correlato art. 7, commi 6
e 11, del D.P.R. n. 605/1973 sull’Anagrafe dei rapporti finanziari e,
infine, dai provvedimenti amministrativi attuativi: cfr. F. Marrone,
Sono legittime le nuove norme di acquisizione e utilizzo dei dati
finanziari?, Il Fisco, n. 19 del 13 maggio 2013.
6.  Anche se l’art. 8, comma 3, del Provvedimento rassicura che i dati
finanziari verranno raccolti “nel rispetto dei diritti e delle libertà
fondamentali dei contribuenti”.
7.  Questo termine, attualmente molto in voga, si riferisce alla
possibile raccolta indiscriminata di informazioni sui contribuenti
che hanno conti correnti all’estero; l’assistenza amministrativa in
molti Paesi è ora ammessa solo in casi singoli, con l’indicazione
cioè dell’identità del presunto evasore e degli indizi che
giustificano la richiesta.
8.  In questi termini v. R. Lupi, Compendio di diritto tributario, Dike,
2013, p. 73.
9.  Gli esempi sono tratti da F. Bianchi – R.Lupi, voce Indagini
finanziarie, Enciclopedia “Il Diritto”, Il Sole 24 ore, 2008.


 

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