di Pasquale Luca Iafelice e Gianpaolo Zambonini
[vc_row] [vc_column width=”5/6″]Dopo aver brevemente navigato all’interno dei percorsi che negli ultimi anni si sono intrecciati nel tentativo di raggiungere l’oggettività mancante nell’analisi balistica comparativa, ci avviamo qui verso la conclusione del nostro viaggio. Conclusione che tutto sommato coincide proprio con l’ultima fase dell’indagine analitica, ossia il problema della valutazione del dato raccolto. E questo forse il passaggio più critico che l’esperto deve compiere a causa del particolare contesto in cui opera, poiché infatti non si tratterà solo di presentare il risultato con rigore scientifico, ma anche di assegnarne un “peso” probatorio. Quest’ultimo aspetto, inizialmente presente nelle aule di tribunale dei Paesi di Common Law, è oggi quasi universalmente sentito sulla scia di quanto avviene nel contesto degli accertamenti di genetica forense. La cosiddetta prova del DNA, infatti, viene rigorosamente presentata con soglie di probabilità ben specifiche e con livelli di confidenza risultanti da tecniche di analisi statistica validate in standard internazionali.
Nel seguito discuteremo i diversi lavori scientifici che negli ultimi decenni si sono susseguiti e grazie ad ai quali si è assistito ad una progressiva introduzione dell’approccio statistico nella valutazione dei confronti tra impronte balistiche, cercando di evidenziarne le criticità ancora non risolte e oggetto di animate ricerche sia in Europa che negli Stati Uniti d’America.
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1. Premessa: dal bianco e nero alle gradazioni di grigio
Come si è avuto modo di argomentare nei precedenti articoli, l’idea di comparare tra loro le tracce lasciate sulle superfici metalliche di bossoli e proiettili durante l’azione di fuoco ai fini dell’identificazione dell’arma sospetta non è certo una novità in ambito forense. Dopo che Goddard mostrò, nel primo ventennio del secolo scorso, come il suo microscopio a doppia colonna ottica, attraverso una serie di prismi, potesse facilmente svolgere tale compito mediante un unico visore bioculare, in molti inneggiarono alla scoperta del metodo per l’identificazione delle armi da fuoco. Una celebre applicazione del metodo fu l’analisi comparativa svolta proprio da Goddard nel controverso caso che portò alla condanna a morte degli italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, per un omicidio avvenuto nell’anno 1920 in una fabbrica di scarpe del Massachusetts (USA). Il caso, per i suoi risvolti politici e demagogici, è stato oggetto di numerosi dibattiti, articoli e libri oltre che di una recente spettacolarizzazione cinematografica, sebbene gli aspetti più pregnanti siano maggiormente attinenti all’evoluzione delle tecniche di indagine forense ad ai metodi di polizia scientifica. In particolare, all’epoca non era certo chiaro quale fondamentale importanza avesse la catena di custodia delle prove e, più nel dettaglio, come le impronte balistiche fossero caratterizzate da una variabilità che inevitabilmente complica l’analisi comparativa e la successiva valutazione delle eventuali corrispondenze rilevate.
Ma l’idea che un’arma potesse essere solo o positivamente o negativamente abbinata allo sparo di proiettili e/o all’esplosione di bossoli non è facilmente tramontata nel corso degli anni, anzi, non lo è forse nemmeno oggi nella mente di tanti esperti che si occupano (nostro malgrado) di effettuare esami balistici determinanti nel contesto di casi giudiziari. Nonostante che, sin dalla fine degli anni ’50, si sia già iniziato a parlare in balistica di probabilità incidentale e di corrispondenze casuali, ancor oggi si ritrovano esami balistici conclusi con un giudizio di positività o negatività per l’arma in esame. Se questa, fino a pochi anni fa, era la prassi anche in molti laboratori governativi, in Europa e oltreoceano, attualmente sono invece in vigore scale di valutazione “a più livelli”, a testimonianza del fatto che è stato unanimemente percepita la complessità e la conseguente difficoltà di giudizio che si incontra nell’analisi delle impronte balistiche. Ma, prima di capire come mai si è passati da una scala dicotomica, apparentemente simboleggiante rigore e sicurezza nel giudizio, ad una scala con differenti “gradazioni di grigio”, cerchiamo di tratteggiare gli sforzi compiuti negli ultimi decenni per spostare sempre più la valutazione della prova balistica su di un piano quantitativo.
2. Metodi statistici per l’analisi comparativa balistica
Un’interessante introduzione all’argomento, sebbene un po’ datata, la si può trovare nel libro di C.G.G.Aitken e D.A.Stoney The Use of Statistics in Forensic Science (1991), in particolare nella sezione a cura di W.F.Rowe. L’autore ripercorre in modo critico gli articoli scientifici che discutono di statistica applicata allo studio delle impronte balistiche per l’identificazione delle armi da fuoco, partendo dai lavori seminali apparsi negli USA a partire dalla metà degli anni ’50.
Come argomentato da Rowe, il 1955 fu l’anno in cui Alfred A. Biasotti, dell’Università della California a Berkeley, compì il primo tentativo di condurre un’analisi statistica sulle microtracce caratterizzanti i solchi rigatura in proiettili sparati. I risultati del preliminare “A Study of Fired Bullets, Statistically Analyzed” furono dallo stesso ricercatore nuovamente analizzati negli anni seguenti ed infine pubblicati sul Journal of Forensic Sciences nell’anno 1959, realizzando così quello che diventò l’articolo più citato nell’ambito della balistica comparativa.
Biasotti studiò, attraverso un microscopio ottico del tipo comparatore, alcuni proiettili sparati con pistole revolver Smith and Wesson calibro .38 Special. Per la produzione di questi test vennero utilizzate sia pistole “nuove” che usate e, prima dello sparo, i proiettili vennero segnati in modo tale da tenere traccia della loro posizione all’interno del tamburo del revolver, così da assicurare un confronto omogeneo tra i solchi prodotti dalla stessa rigatura (o dallo stesso vuoto) della canna. L’intento di Biasotti era quello di effettuare un confronto balistico connotato da requisiti di quantitatività, pertanto egli decise di procedere al conteggio delle microstrie presenti sui proiettili sparati, raccogliendo dati che riguardassero sia coppie di proiettili sparati dalla stessa arma che coppie improntate da armi differenti (ma sempre della stessa marca e modello). In particolare, nello studio vennero conteggiate le microstrie presenti in ogni impronta di pieno e vuoto di canna (impronte primarie) e, per ogni coppia di proiettili a confronto, venne stimato il numero di corrispondenze rilevate.
Il risultato fu abbastanza sorprendente. Infatti, per proiettili sparati dalla stessa arma, Biasotti trovò che le percentuali di corrispondenze erano comprese nell’intervallo 21%–24% (per proiettili con camiciatura completa – c.d. FMJ o full metal jacket) oppure nel range 36%–38% (nel caso di proiettili in lega di piombo nudo). Per le coppie di proiettili a confronto sparati con armi diverse, le percentuali di corrispondenza si assistevano intorno al 15–20%. Era chiaro quindi che non avrebbe avuto alcun significato basare un giudizio di identificazione sul solo numero totale di corrispondenze, posto che quanto rilevato nel caso di armi diverse era numericamente paragonabile a quanto risultava nel caso dell’utilizzo di una medesima arma per la produzione di proiettili test.
Fu allora che Biasotti intuì che la vera essenza del confronto balistico, così come in modo qualitativo era stato condotto dagli esperti fino a quel momento, era costituita dal confronto tra le “configurazioni” di microstrie, ossia tra gruppi di strie consecutive. La conferma ad una tale ipotesi venne fornita dalla circostanza che la corrispondenza di gruppi costituiti anche solo da 3-4 strie consecutive era molto rara nel caso di proiettili sparati con armi diverse. Al contrario, nel caso delle coppie di proiettili ottenuti come test di sparo della stessa arma era possibile riscontrare corrispondenze di gruppi contenenti fino a ben 15 microstrie consecutive. La conclusione dell’autore fu che la corrispondenza di gruppi di cinque o più strie consecutive era prova dello sparo da una medesima arma per i proiettili a confronto.
Il pregio degli studi di Biasotti, poi estesi in un successivo lavoro pubblicato sullo stesso Journal of Forensic Sciences negli anni ’60, era quello di introdurre il concetto di conteggio delle microstrie nell’ambito dell’esame comparativo balistico. In tal modo, l’esperto non era solo costretto a documentare la propria analisi, ma era anche tenuto a mostrare le soglie di corrispondenze rilevate ed in base alle quali era stato fondato il giudizio conclusivo. Così, un elemento di riproducibilità, parola cara al metodo scientifico, veniva finalmente introdotto nell’ambito della balistica comparativa e l’accertamento analitico ne guadagnava quanto a trasparenza del metodo. Inoltre, venivano gettate le basi per un confronto quantitativo aprendo così la strada all’idea di una comparazione balistica condotta con metodi automatici. Il metodo introdotto e perfezionato da Biasotti viene tuttora indicato con l’acronimo CMS (Consecutive Matching Striae) e costituisce l’attuale standard per i confronti balistici negli USA.
Nonostante l’enorme diffusione e le ottime premesse, il metodo del CMS ha registrato negli anni numerose critiche, già a partire dagli anni ’80.
Le principali cause di disappunto nella lettura dei lavori di Biasotti da parte di altri scienziati sono legate alle poco robuste ipotesi sulle quali è basato il metodo CMS, in particolare per ciò che attiene la stima della probabilità incidentale. A tal proposito, il lettore potrà ricordare che nella prima parte del presente lavoro abbiamo spiegato ed illustrato con un esempio cosa si intenda per “probabilità incidentale” nel contesto dell’analisi comparativa balistica. Senza ripetere quanto detto in quella sede, per il momento basti pensare ad una corrispondenza tra microstrie legata al puro caso (incidente), piuttosto che alla circostanza del coinvolgimento della medesima arma nello sparo.
Nel caso del CMS nella sua forma originaria, una tale valutazione era del tutto assente. Infatti, Booker (1980) ha fortemente criticato gli studi di Biasotti evidenziandone una non rigorosa definizione del concetto di strie corrispondenti, in particolare riportando come questo sia differente nella valutazione dei confronti relativi a proiettili sparati dalla stessa arma rispetto quella per proiettili di armi diverse. Booker ha inoltre puntualizzato che, se il numero di microstrie è sufficientemente elevato (come, ad esempio, nel caso di proiettili camiciati) la probabilità di una corrispondenza casuale sarà tale da non poter più essere trascurata, anche nel caso in cui si considerino, secondo l’indicazione di Biasotti, solo gruppi di strie consecutive. Tale ultima considerazione, teoricamente basata su di un importante e noto teorema della statistica che va sotto il nome di “Legge dei grandi numeri”, fu da Booker invece illustrata con un esperimento. Con un utensile vennero prodotto numerose microstrie su di una coppia omogenea di superfici metalliche, successivamente fotografate forzandone il disallineamento delle impronte primarie.
Venne poi chiesto ad un gruppo di esperti “comparativisti” di valutare il numero massimo di micro-corrispondenze osservate all’interno delle impronte primarie. Tutti gli esaminatori rilevarono sette o più gruppi di strie consecutive in corrispondenza, in palese contraddizione con la circostanza che il campione di confronto era stato preparato appositamente per rappresentare un caso di negatività. Tale risultato mostrava come l’assenza di un modello probabilistico per la descrizione delle corrispondenze nei confronti tra microstrie costituisse uno degli aspetti più controversi del CMS.
Di notevole interesse, si sono rivelati quindi i tentativi operati alla fine degli anni ’70 e nel decennio successivo da Uchiyama (1975, 1988) e Gardner (1978) al fine di colmare le lacune individuate negli studi di Biasotti. Entrambi gli autori derivarono, in modo indipendente, simili modelli probabilistici per il problema della corrispondenza di microstrie. Il lettore che ha sufficiente dimestichezza con il formalismo matematico di base utilizzato nella Teoria delle Probabilità può far riferimento al citato scritto di W.F.Rowe dove vengono illustrati brevemente i passaggi chiavi seguendo gli argomenti utilizzati da Gardner.
Il risultato finale è quello di un’espressione matematica per la probabilità P(P) di accadimento di un confronto positivo casuale tra due proiettili, aventi rispettivamente n1 e n2 microstrie, di cui, nel confronto, n corrispondono all’interno di una distanza trasversale pari a d. Finalmente, quindi, la traduzione in linguaggio quantitativo di quanto argomentato fino a quel momento dagli esperti solo in termini qualitativi. Ma non certo la fine della storia, anzi.
L’ipotesi fondamentale sulla quale si reggeva infatti il modello di probabilità derivato era quella di una distribuzione statistica delle microstrie sulla totalità della superficie del proiettile connotata dal pieno requisito di casualità. Ma già Booker (1980) aveva suggerito come ciò non fosse vero nel caso generale delle microstrie balistiche. Ad ogni modo, perlomeno le risultanze degli esperimenti riportati da Uchiyama e Gardner coincidevano con quanto predetto dal loro modello teorico, a conferma, nei casi trattati dagli autori, della correttezza dell’ipotesi di base di una distribuzione uniforme delle microtracce balistiche. In entrambi gli studi, i risultati erano maggiormente indicativi della possibilità di una corretta identificazione dell’arma quando veniva seguito il metodo del CMS per la selezione dei gruppi di strie. Un fatto singolare (forse non più di tanto se lo si analizza alla luce di quanto già esposto nella parte II di questo lavoro) fu che Gardner ottenne valori più bassi per P(P), ossia riscontrò nei suoi confronti una minore incidenza di falsi positivi, a volte anche non ricorrendo alla ricerca di gruppi di strie consecutive, avendo eseguito le analisi delle tracce balistiche con un metodo non convenzionale: l’uso del microscopio elettronico a scansione (SEM).
Ancora una volta però non veniva superata quella criticità evidenziata da Booker (1980) già per i lavori di Biasotti: nel caso in cui il numero totale di microstrie, ottenuto sommando quelle presenti in tutte le impronte primarie (pieni e vuoti di canna), fosse risultato particolarmente elevato (circostanza, come si è detto, abbastanza comune nel caso dei proiettili camiciati), trovare configurazioni di microstrie consecutive corrispondenti poteva non essere poi così raro anche nel caso di proiettili sparati da armi diverse.
Ma il limite più grosso dei lavori di Biasotti, Uchiyama, Gardner e di altri autori che negli anni hanno proseguito queste ricerche è rappresentato dal fatto che gli studi si sono limitati e tuttora si limitano a considerare un numero ridottissimo di combinazioni arma/munizione, rispetto quanto teoricamente possibile. Ne risultano considerazioni scientifiche che, se in taluni casi possono trovare pieno accoglimento e apparire del tutto confermi a quanto oggetto d’indagine, in altre circostanze sembrano piuttosto lontane dalla realtà fisica, restando utili solo per lo sviluppo della materia nelle sua linee generali.
Gran parte delle attuali ricerche nell’ambito dei metodi statistici applicati alla balistica comparativa sono svolte su manufatti standard, come quelli illustrati nella Parte II del presente lavoro. In tal modo, si è per il momento superata la criticità di costruire tante basi dati e relative popolazioni statistiche quante sono le diverse combinazioni arma/cartuccia ipotizzabili, con l’ulteriore vantaggio di poter realizzare un confronto diretto, quanto ad efficacia, tra i diversi metodi sviluppati. La strada è ancora tutta in salita e, una grande parte dell’iter analitico, soprattuto la fase decisionale, è ancora piuttosto influenzata dalle ipotesi dell’esperto e dalle sue valutazioni sull’origine delle tracce balistiche osservate.
3. Il peso della prova
Al di là della correttezza o meno delle ipotesi alla base del metodo di valutazione per le soglie di corrispondenza descritte nel paragrafo precedente, resta da capire come utilizzare questi risultati nell’ambito particolare della balistica comparativa forense, in cui, in sostanza, si procede alla valutazione di una prova (o fonte di prova, come più correttamente specificato nel nostro Codice di Procedura Penale, quando l’accertamento viene svolto nella fase delle indagini preliminari e senza le garanzie di cui all’art 360 c.p.p.).
In pratica, si tratta qui di capire come tradurre in termini quantitativi quel processo logico seguito dall’esperto per attribuire un giudizio conclusivo all’esame comparativo balistico. Per fissare le idee, continuiamo a considerare il caso di un confronto tra proiettili. Da una parte avremo, ad esempio, il proiettile repertato sulla scena del crimine e, dall’altra, quello recuperato come test di sparo dall’arma oggetto d’indagine. Al microscopio verranno poi osservate le impronte balistiche e, dopo averne stabilito la corrispondenza di quelle primarie, verranno confrontate le microstrie presenti all’interno di quest’ultime, tenendo cura di documentarne le corrispondenze e le differenze. A questo punto si tratta di utilizzare un criterio per stabilire se il numero (quantità) delle corrispondenze rilevate e la loro natura (qualità) sono tali da permettere di asserire un giudizio di identità d’arma.
Il criterio scelto potrà essere soggettivo, ossia basato sulla sola esperienza dell’esaminatore, o oggettivo, ad esempio quello fornito dal metodo CMS. Scegliamo di procedere per l’oggettività, ricordandoci che, come si è visto, ci troveremo di fronte ad un qualcosa di veramente oggettivo solo se il caso in esame rientra esattamente in quella combinazione arma/munizione di cui si conosce (sperimentalmente) la distribuzione statistica delle microstrie. La procedura generale per l’applicazione del CMS la si può trovare descritta in Bunch (op. cit.), dove viene prescritto lo sparo di “numerosi” proiettili attraverso armi dello stessa marca e modello di quella in esame, cosa più semplice a dirsi che a farsi quando ci si trova di fronte a compiere un’investigazione balistica in un caso giudiziario. Ma al di là delle considerazioni di carattere pratico, supponiamo comunque di tralasciare quest’aspetto, nonostante la sua pregnante rilevanza, al fine di concentrarci sulle successive valutazioni a cui è tenuto l’esaminatore.
Seguendo Bunch, dopo aver costruito quindi il campione statistico di riferimento, l’esperto dovrà procedere ai confronti tra le microstrie ed alla stima degli intervalli di corrispondenza nel caso di proiettili sparati dalla stessa arma e di quelli sparati da armi differenti, sebbene della stessa marca e modello (o, più in generale, armi appartenenti alla stessa classe). In questo modo sarà possibile costruire una tabella contenente due insiemi di dati, quelli relativi agli spari con una stessa pistola (same gun – SG) e quelli provenienti da pistole differenti (different guns – DG). Se non fosse possibile ripetere ad ogni nuovo caso un tale esperimento, si prenderanno i valori ottenuti da altri in un caso quanto più possibile vicino per combinazione arma/munizione. In particolare, saranno quindi riportate le (ipotetiche) frequenze relative del “numero massimo di CMS” ottenuto nell’esperimento (virtuale). In modo analogo, per le frequenze di accadimento relative ad alti valori di CMS, Bunch indica la possibilità di estrapolare i dati e postula una distribuzione di probabilità per il “massimo valore di CMS”. In tal modo, sarà possibile stimare le probabilità a priori per i due differenti casi (stessa arma o arma diversa) e utilizzarli nella successiva valutazione dei risultati relativi allo specifico caso investigato.
A questo punto l’esperto dovrà comunque addentrarsi nei meandri delle ipotesi e iniziare a considerare tutti quegli aspetti che in un modo o nell’altro possono influenzare l’improntamento del proiettile. L’intenzione di spostare l’analisi il più possibile su di un piano quantitativo, impone che le corrispondenze rilevate (o le differenze) debbano essere valutate anche tenendo in conto eventuali effetti “spuri”. Ad esempio, come risultato di un impatto contro strutture rigide o penetrazioni all’interno di materiali, può risultare alterata la configurazione ed il numero delle microstrie sulla superficie di un proiettile. Dall’altra parte, anche l’arma oggetto di indagine, potrebbe essere stata soggetta a modifiche accidentali o indotte, tanto più probabili quanto maggiore è il tempo trascorso dall’atto dello sparo dei reperti fino al momento della sua individuazione quale termine di confronto nell’indagine balistica. Ma tanti altri aspetti, a volte addirittura non noti all’analista, possono influire sul buon esito dell’esame comparativo. Anche in questo caso una rigorosa trattazione statistica permetterà di trasporre sul piano quantitativo tali criticità.
È questo il dominio della statistica Bayesiana, disciplina che offre proprio quegli strumenti necessari per il vaglio ed il confronto delle probabilità relative alle diverse ipotesi considerate. I valori di queste probabilità “condizionate” permetteranno poi di calcolare i cd. rapporti di verosimiglianza e di stimare quello che tecnicamente viene definito “valore o peso della prova”. Per economia di trattazione, evitiamo qui di addentrarci nella discussione delle tecniche di statistica bayesiana che, peraltro, si stanno diffondendo un po’ ovunque nell’ambito delle scienze forensi.
Un approccio bayesiano all’analisi dei dati estratti con il metodo del CMS, anche nel caso di esperimenti virtuali, può essere ritrovato nel citato studio di Bunch (2000). Per alcuni autori (Champod e altri, 2003) però ci sono invece delle differenze logiche sostanziali nel procedere ad una valutazione dell’esame comparativo balistico sulla base delle soglie di probabilità stimate con il CMS rispetto la scelta di utilizzare i rapporti di verosimiglianza della statistica di Bayes. In generale, non è ancora in letteratura ben chiaro quale dei due approcci preferire, qualora se ne assuma una sostanziale differenza gnoseologica, essendo presenti, indifferentemente, studi che inneggiano alla maggiore efficacia dell’uno approccio rispetto all’altro. La verità, forse, come si usa dire, sta nel mezzo, ed il problema della scelta è sicuramente sentito più in ambito accademico che all’interno dei vari laboratori forensi, la maggior parte dei quali è in attesa di tempi più maturi per introdurre tali metodologie statistiche nelle loro procedure.
4. Conclusioni
Le incertezze del settore e lo stato in divenire delle ricerche si riflettono nell’adozione da parte dei maggiori laboratori forensi di scale valutative che lasciano ancora molto spazio alla soggettività dell’esperto balistico. In Europa, in ambito ENFSI (European Network of Forensic Science Institutes), è in vigore una scala valutativa a 5 livelli, più un ultimo livello che viene usato solo per indicare quei casi in cui non è oggettivamente possibile procedere all’accertamento. Negli Stati Uniti, invece, l’AFTE (Association of Firearm and Tool Mark Examiners) consiglia l’utilizzo del metodo CMS, riportando specifiche indicazioni sulle soglie di corrispondenze da rilevare al fine dell’espressione di un giudizio di positività.
Sembrerebbe quindi che gli Stati Uniti siano maggiormente vicini all’introduzione di un approccio quantitativo alla comparazione balistica, ma, in realtà, tutte le criticità che si è avuto modo di discutere relative al CMS rendono la conclusione di un accertamento effettuato oltreoceano tanto a margini sfocati quanto nel caso di un giudizio espresso nel vecchio continente. Sparito quindi il bianco e nero dell’epoca degli (sfortunati) Sacco e Vanzetti, l’accertamento balistico oggi è connotato da sfumature di grigio, inevitabili per una prova che voglia veramente fregiarsi dell’attributo “scientifica”, in qualche modo associate a quelle soglie di probabilità che esprimono tutta l’acquisita consapevolezza da parte degli esperti di un mondo, quello delle impronte balistiche, connotato da un’elevata complessità.
Tale consapevolezza però non deve destare preoccupazioni, ma, anzi, deve essere vista come catalizzatore per la crescita di quel rigore che si richiede oggi all’accertamento balistico comparativo e, più in generale, al mondo dell’identificazione delle armi da fuoco. ©
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di Pasquale Luca Iafelice e Gianpaolo Zambonini (N. I_MMXVIII)
Un fenomeno in calo ma che caratterizza ancora il panorama criminale del nostro Paese, complicato dall’apertura delle frontiere e dalle sempre più evolute tecniche utilizzate dalle organizzazioni dedite allo scopo, il traffico di veicoli rubati resta uno degli indici più diffusi per misurare l’efficacia delle azioni di polizia. La pronta risposta nell’attività di prevenzione è oggi accompagnata da efficienti indagini di polizia giudiziaria che, grazie all’utilizzo delle più recenti tecnologie forensi, trovano rinnovata efficacia in un campo dove l’identificazione, anche di un solo veicolo, permette a volte di ricostruire i loschi traffici ed individuare la responsabilità di intere organizzazioni criminali.
di Giuseppe Di Ieva e Gianpaolo Zambonini (N. I_MMXVIII)
PRIMA PARTE1. Introduzione, 2. Surface Web, 2.1. Raccolta/Indicizzazione/Ordinamento, 2.2. Link Popularity vs PageRank, 2.3. I motori di ricerca del Surface Web, 3. Deep Web, 3.1. Alla scoperta del Deep Web. SECONDA PARTE (in qesto numero): 3.2. Anatomia di una query, 3.3. L’Albo pretorio on-line, 3.4. I contenuti del Deep Web, 3.5. La rete Usenet come Deep Web, 4. Dark Web, 4.1. L’anonimato, 4.2. I Proxy, 4.3. Tor, 4.4. La rete Tor, 4.5. Hidden Service, 4.6. Navigare su un sito onion, 4.7. Basta un click. TERZA PARTE: 4.8. La valigetta degli attrezzi per il Dark Web, 4.9. ACTIVE o INACTIVE onion site, 4.10. I motori di ricerca del Dark Web, 5. Conclusioni.
di Giuseppe Di Ieva e Gianpaolo Zambonini (N. IV_MMXVII)
PRIMA PARTE (in qesto numero): 1. Introduzione, 2. Surface Web, 2.1. Raccolta/Indicizzazione/Ordinamento, 2.2. Link Popularity vs PageRank, 2.3. I motori di ricerca del Surface Web, 3. Deep Web, 3.1. Alla scoperta del Deep Web. SECONDA PARTE: 3.2. Anatomia di una query, 3.3. L’Albo pretorio on-line, 3.4. I contenuti del Deep Web, 3.5. La rete Usenet come Deep Web, 4. Dark Web, 4.1. L’anonimato, 4.2. I Proxy, 4.3. Tor, 4.4. La rete Tor, 4.5. Hidden Service, 4.6. Navigare su un sito onion, 4.7. Basta un click. TERZA PARTE: 4.8. La valigetta degli attrezzi per il Dark Web, 4.9. ACTIVE o INACTIVE onion site, 4.10. I motori di ricerca del Dark Web, 5. Conclusioni.
di Pasquale Luca Iafelice e Gianpaolo Zambonini (N. III_MMXVI)
Il problema dell’identificazione è trasversale a tutta l’attività di polizia, sia essa a carattere preventivo o di intelligence, che quella propriamente giudiziaria, messa in atto cioè dopo la commissione di un reato. Però, mentre l’identificazione di persone ha compiuto passi da gigante grazie alle consolidate scoperte scientifiche ed alle evoluzioni tecnologiche che hanno segnato il secolo scorso, l’identificazione di un arma da fuoco per mezzo dell’analisi comparativa balistica ha potuto beneficiare delle nuove tecnologie solo in tempi relativamente recenti.
di Pasquale Luca Iafelice e Gianpaolo Zambonini (N. II_MMXVI)
A differenza, ad esempio, della genetica forense, che può contare su solide basi scientifiche e su soglie di probabilità ben determinate per quantificare i livelli di corrispondenza tra profili del DNA, la balistica comparativa soffre ancora di un diffuso empirismo, di valutazioni fortemente legate all’esperienza del singolo esaminatore e della quasi totale mancanza di standard di riferimento. Nel seguito introdurremo l’argomento, spiegando le basi teoriche della comparazione balistica e presentando al lettore il ragionamento statistico che permette di apprezzare il valore dei risultati analitici. Un terzo lavoro sarà poi integralmente dedicato alla stima del valore probatorio del confronto balistico, con la descrizione delle diverse scale valutative adottate in Europa e Stati Uniti e dei metodi statistici adoperati per la stima delle percentuali di corrispondenza.
di Gianpaolo Zambonini e Claudio Fusco (N. I_MMXVi)
La Data Retention operata dagli Operatori telefonici per fini di giustizia e repressione dei reati è un’attività fondamentale su cui si basa l’attività investigativa condotta dalla Polizia giudiziaria, a cui spetta poi l’analisi dei tabulati di traffico storico. L’analisi tradizionale di questo tipo di dati può realizzarsi con un approccio metodologico articolato in tre step: il primo rappresenta la mera lettura in sequenza cronologica delle celle agganciate, il secondo la georeferenziazione su mappa degli indirizzi dove sono ubicate le celle, infine il terzo prevede la rappresentazione, sempre su mappa geo-referenziata, delle aree di copertura teoriche delle celle. L’esperienza maturata dalla Polizia Scientifica in questa tipologia di accertamenti, oltre ad evidenziare i limiti delle tecniche tradizionali finora esposte, ha consento di ampliare le fasi di analisi rappresentazione dei dati di traffico. Le Best Practices che ne sono scaturite hanno condotto alla implementazione di un quarto step differenziato in base alla tipologia di quesito.
di Gianpaolo Zambonini e Claudio Fusco (N. III_MMXV)
La Data Retention operata dagli Operatori telefonici per fini di giustizia e repressione dei reati è un’attività fondamentale su cui si basa l’attività investigativa condotta dalla Polizia giudiziaria, a cui spetta poi l’analisi dei tabulati di traffico storico. L’analisi tradizionale di questo tipo di dati può realizzarsi con un approccio metodologico articolato in tre step: il primo rappresenta la mera lettura in sequenza cronologica delle celle agganciate, il secondo la georeferenziazione su mappa degli indirizzi dove sono ubicate le celle, infine il terzo prevede la rappresentazione, sempre su mappa geo-referenziata, delle aree di copertura teoriche delle celle. L’esperienza maturata dalla Polizia Scientifica in questa tipologia di accertamenti, oltre ad evidenziare i limiti delle tecniche tradizionali finora esposte, ha consento di ampliare le fasi di analisi rappresentazione dei dati di traffico. Le Best Practices che ne sono scaturite hanno condotto alla implementazione di un quarto step differenziato in base alla tipologia di quesito.
di Gianpaolo Zambonini (n.II_MMXV)
L’analisi dei residui dello sparo è uno degli aspetti più dibattuti nelle aule di tribunale per quanto concerne gli accertamenti forensi. Vari aspetti sono alla base delle controversie. L’unica problematica che realmente potrebbe inficiare i risultati di un accertamento è quella legata alla possibilità di contaminazione.
di Gianpaolo Zambonini (n.I_MMXV)
Con questo numero si apre la nuova sezione tematica “balistica”. La balistica è il ramo della fisica meccanica che studia il moto di un proiettile, inteso come un corpo inerte sottoposto alla forza di gravità e all’attrito viscoso. Oggi vera e propria scienza, si è differenziata in varie branche di studio: interna, esterna, terminale. Trasversalmente a tutte e tre le branche si muovono gli specialisti della Polizia Scientifica, che operano nel campo della balistica forense.