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Il delitto di combustione illecita di rifiuti: considerazioni sulla portata della nuova norma

di Daniela Gentile

Legge 6 febbraio 2014, n. 6

Sulla Gazzetta ufficiale n.32 dell’8 febbraio 2014 è stata pubblicata la Legge 6 febbraio 2014, n. 6, di conversione del DL 10 dicembre 2013, n. 136 in materia di emergenze ambientali e industriali. Il testo del decreto legge è stato modificato a seguito della conversione. Il provvedimento è in vigore dal 9 febbraio 2014 ed è articolato perchè tratta di Ilva e di dissesto idrogeologico. La novità più importante è il delitto di combustione illecita di rifiuti (art. 256 bis Codice dell’Ambiente): vediamo alcune considerazioni sulla portata della nuova norma e sulla sua efficacia quale misura di contrasto al fenomeno “terra dei fuochi”.

 


Con Legge 6 febbraio 2014, n. 6(1) convertendo il Decreto Legge 10 dicembre 2013(2), n. 136 il Parlamento è nuovamente intervenuto a fronteggiare, tra le altre emergenze ambientali, quella meglio conosciuta come la piaga della “terra dei fuochi”(3), vastissima area comprendente oltre 80 comuni tra il litorale domizio-flegreo, agro-aversano e vesuviano da anni afflitto dal fenomeno dell’appiccamento di roghi dei rifiuti e che cela uno dei più redditizi business gestiti dalla criminalità organizzata locale.

Onde valutare se quest’ultimo strumento possa realmente rappresentare la chiave di volta rispetto alla normativa pregressa, e scarsamente applicata, pare opportuna un’esegesi del nuovo delitto introdotto dall’art. 3 comma 1 della Legge citata (anche rispetto alle non trascurabili modifiche apportate in sede di conversione del Decreto Legge) rubricato all’art. 256 bis del c.d. Codice dell’Ambiente “Combustione illecita di rifiuti” che al suo primo comma recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica.”(4) Rispetto alla originaria formulazione viene espunta la discutibile limitazione “alle sole aree non autorizzate” dal momento che il danno all’ambiente ed alla salute pubblica non muta in relazione al locus ovvero alle modalità di gestione del rifiuto(5), ed introdotto l’obbligo di risarcimento e bonifica dei territori colpiti dalle condotte delittuose.

Si tratta di un delitto “comune” la cui condotta tipica è costituita dall’appiccare il fuoco a cumuli di rifiuti “abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata”(6) (intendendosi per rifiuto elemento normativo della fattispecie per la cui definizione si rimanda all’art. 183, comma 1, lett. a) D.lgs. 152/2006 e che ricomprende qualunque genere di rifiuto urbano, artigianale od industriale); per la sua integrazione è sufficiente appiccare il fuoco sui rifiuti, indipendentemente dalla propagazione del fenomeno, configurandosi quindi anche alla presenza di un singolo e circoscritto rogo individuale(7); trattasi di un reato di pericolo astratto giacché la pericolosità è ritenuta dal legislatore immanente la condotta stessa e non si richiede alcuna soglia quantitativa di “rifiuto”; tuttavia, posto che la nuova norma non ha un ambito di validità territorialmente circoscritto ma è applicabile sull’intero territorio nazionale, qualche riserva può esprimersi sulla sua effettiva offensività, non essendo dimostrato che il mero appiccamento del fuoco su un rifiuto generi un serio pericolo per l’integrità dell’ambiente terrestre ed aereo.
L’elemento soggettivo è il dolo e, più nello specifico, il dolo intenzionale: l’impiego del verbo “appiccare” lascia, infatti, trasparire l’intenzione del legislatore di accertare una volontà precisa e diretta a dare alle fiamme i rifiuti.

Lo stesso trattamento sanzionatorio è riservato al comma 2 “a colui che tiene le condotte di cui all’articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti”, introducendo in tal modo la punibilità di un atto preparatorio. Volendo interpretare tale finalità come una modalità di estensione della punibilità, posto che se evidentemente la combustione è consumata si ricadrebbe senza alcuna difficoltà nell’ambito della fattispecie di cui al comma 1, pare arduo non porsi dei dubbi di ragionevolezza nell’equiparazione di una fattispecie tentata ad una consumata(8). Altamente complesso risulta, infine, accertare quando tali condotte siano state poste in essere allo scopo di una successiva combustione illecita di rifiuti, potendosi pervenire ad una certezza probatoria nel sol caso in cui taluno venga sorpreso nell’atto di abbandonare o depositare un rifiuto ed in possesso di mezzi atti ad incendiare.

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