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Spazio: l’ultima frontiera della diplomazia

di Michele Lippiello e Dario Germani

Il mondo globalizzato, interconnesso e a più velocità trova origine nell’utilizzo dello Spazio extra/atmosferico, frutto di una progressiva normazione a livello internazionale grazie a un sempre più crescente interesse delle potenze mondiali. Non a caso si inizia a parlare in senso organico di Space Diplomacy. La diplomazia, infatti, è passata dal considerare lo Spazio come strumentale ai rapporti di forza tra i Blocchi occidentale e sovietico durante la Guerra Fredda, a settore autonomo strategico per una pluralità di interessi pubblici e privati.

 


Lo Spazio ha, da sempre, costituito un interrogativo per l’Essere Umano, risolto in modo parziale grazie al progresso della scienza e delle tecniche di osservazione prima e esplorazione spaziale poi. Durante il Novecento si arriva alla sua concezione intesa in senso moderno grazie al contributo di eminenti scienziati come George Lemaitre. Rimaneva comunque ancora lontano da applicazioni pratiche e benefici diffusi per i vari popoli della Terra. Nel secondo dopoguerra, però, grazie ai progressi bellici maturati in ambito missilistico durante il conflitto, l’Unione Sovietica riuscì per prima a mandare un satellite in orbita attorno al nostro pianeta: lo Sputnik-1, lanciato il 4 ottobre 1957.

Questa data segnava l’inizio di una nuova fase di scoperte scientifiche, ma anche di nuovi scenari geostrategici, militari e giuridici. Si doveva infatti far avanzare l’intera Comunità Internazionale su un ambito nuovo e rapidamente al centro di quella che comunemente viene definita Guerra Fredda tra la componente statunitense e dei suoi alleati, e quella sovietica con i propri Paesi satellite del Blocco comunista.

Con la disgregazione di quest’ultima e la comparsa di nuovi mercati ad Est per il modello economico capitalista e dei consumi di massa, anche il settore spaziale vide l’ingresso, graduale e lento, di privati all’interno delle sue componenti, cambiando una logica che vedeva tradizionalmente investimenti governativi legati allo sviluppo e operatività di tecnologie militari volte a garantire sicurezza e mutua sorveglianza in orbita e da essa verso la superficie del pianeta, così da assicurare quella che in geostrategia viene indicata come il controllo del c.d. Ultimate High Ground, ovvero il settore che può assicurare un vantaggio schiacciante e totale su qualunque tipo di avversario.

Oggi più che mai, con la ricomparsa di conflitti “classici” sul territorio continentale europeo, le necessità di sicurezza (declinate secondo la visione anglosassone in security e safety) e difesa appaiono impellenti. La Guerra in Ucraina mostra come gli asset spaziali siano un elemento insostituibile per supportare e coordinare le operazioni di terra, aria e mare, riducendo il tempo tra evento critico e risposta.
Ecco quindi che, con la nascita di un nuovo settore in verticale crescita, si sono create anche diverse contromisure, la cui proliferazione cresce di pari passo: le c.d. ASAT, “Anti Satellite Weapons” sono armi antisatellite capaci di rendere inoffensivo qualunque asset in orbita, sia esso militare, civile commerciale o scientifico.

In un settore ad alta complessità e costo come questo, complice il delinearsi di uno scenario internazionale multipolare regionale, le grandi potenze hanno iniziato a dotarsi di strumenti idonei per affrontare le nuove sfide tecniche e di sicurezza. Per quanto concerne l’Europa, il conflitto in Ucraina torna di nuovo protagonista: gli ingenti depositi di materie prime rare presenti nel sottosuolo e necessarie per la creazione di hardware e componentistica ad alta tecnologia, qualora il conflitto si protraesse ulteriormente, potrebbero mettere a rischio o quantomeno rallentare le prossime missioni spaziali, con conseguenze dirette sul comparto industriale. Su questo clima di instabilità si innesta anche un nuovo rischio di militarizzazione dello spazio, incrementando di riflesso il rischio di escalation.

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