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Nazila Ghanea nuova Special Rapporteur on freedom of religion or belief

di Laura De Gregorio

Il focus propone alcune considerazioni sulla recente nomina – 1° agosto 2022 – di Nazila Ghanea a Special Rapporteur on freedom of religion or belief

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Il 1° agosto 2022 è stata nominata Special Rapporteur on freedom of religion or belief Nazila Ghanea, professoressa di International Human Rights Law alla University of Oxford e direttrice presso la medesima università del Master of Science in International Human Rights Law. Di nazionalità iraniana e di fede bahá’í è la seconda donna a ricoprire questo prestigioso ruolo istituito dalla United Nations Commission on Human Rights – originariamente e non a caso con la dizione di Special Rapporteur on religious intolerance[1] – a seguito della risoluzione 1986/20.

Nel passaggio di testimone con Ahmed Shaheed (2016-2022) l’inizio del suo mandato si colloca in un momento storico particolare perché, ai conflitti più o meno dimenticati nel Nord e nel Sud del mondo, si aggiunge una guerra (la Guerra) nel cuore dell’Europa le cui conseguenze, anche in termini di violazioni del diritto di libertà religiosa, sono al momento difficili da valutare. In attesa di capire come la nuova Rapporteur imposterà il proprio lavoro e su quali temi focalizzerà l’attenzione, sembra qui significativo ricordare alcuni dati che potranno rivelarsi utili per leggere poi il suo operato. Si allude da un lato alle osservazioni del General Comment n. 22 – sull’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) – adottato dallo United Nations Human Rights Committee nel 1993[2]; dall’altro ai contenuti degli Annual Reports presentati dagli Special Rapporteurs che hanno ricoperto l’incarico fino ad ora.

Quanto alle prime, nel redigere quasi trent’anni fa il General Comment sull’articolo 18 (ad oggi l’unico su tale norma) lo Human Rights Committee ribadiva in primo luogo alcuni punti fermi: il carattere fondamentale delle libertà di pensiero, di coscienza, di credenza e di religione e l’esigenza di una loro uguale tutela nonché di una interpretazione ampia dei termini Belief e Religion; il carattere altrettanto fondamentale delle libertà di scegliere, di cambiare e ancora di manifestare una religione o convinzione mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti; la peculiarità dei limiti e delle restrizioni a tali libertà da giudicarsi legittimi solo se stabiliti dalla legge e necessari per la protezione della pubblica sicurezza, dell’ordine, della salute, della morale pubblica, o in vista della tutela dei diritti e delle libertà altrui. Soprattutto con riguardo a ogni «tendency to discriminate against any religion or belief for any reasons» verso gruppi religiosi nuovi o minoritari, ovvero nei confronti di «persons who do not accept the official ideology or who oppose it», lo Human Rights Committee esprimeva, in secondo luogo, grande preoccupazione. Auspicava di conseguenza che il riconoscimento di un credo religioso quale religione dello Stato o religione ufficiale o tradizionale, l’esistenza di una fede maggioritaria o di una ideologia dominante di fatto sottesa a leggi e ad atti ammnistrativi non determinassero né una violazione nel godimento dei diritti riconosciuti dal Patto del 1966 (in particolare negli articoli 18 e 27), né alcuna discriminazione rispetto ai fedeli di qualsiasi religione o credo e con riguardo ai non credenti.

L’importanza dei rilievi allora formulati trovava fin da subito accoglienza nei contenuti dei Reports che i singoli Special Rapporteurs devono sottoporre annualmente – a partire dal 1987 – all’esame sia dello Human Rights Council (HRC) che della General Assembly (GA). Rinviando per approfondimenti di quei contenuti alla documentazione reperibile sul sito dell’ONU[3], già una rapida lettura dei titoli dei Reports consente di cogliere, oltre alla complessità della freedom of religion or belief, anche la pluralità delle sue possibili violazioni – individuabili con maggiore o minore difficoltà – rispetto a persone[4] e non solo[5], i molti fattori che con essa interagiscono[6] e l’ampia sfera di interventi che nel corso del tempo proprio i Rapporteurs hanno evidenziato come opportuni o doverosi al fine di rendere effettiva la tutela della libertà religiosa da parte di quegli Stati che, ratificando il Patto, hanno aderito ad uno speciale sistema di tutele e di garanzie dei diritti umani[7].

 


[1] Special Rapporteur on freedom of religion or belief: https://www.ohchr.org/en/special-procedures/sr-religion-or-belief. Nel 2000 è sempre la stessa United Nations Commission on Human Rights a cambiare la denominazione da Special Rapporteur on religious intolerance in Special Rapporteur on freedom of religion or belief. Tale modifica viene confermata dallo Human Rights Council con la decisione 2000/261 e approvata dalla United Nations General Assembly con la risoluzione 55/97.

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[2] Human Rights Committee: https://www.ohchr.org/en/treaty-bodies/ccpr.

[3] In particolare https: https://www.ohchr.org/en/special-procedures/sr-religion-or-belief/annual-reports.

[4] Così i Reports 2002 (Study on freedom of religion or belief and the status of women in the light of religion and traditions), 2005 (The question of conversion; The freedom of religion or belief of detainees), 2007 (Situation of refugees, asylum seekers and internally displaced persons; situation of persons with atheistic or non-theistic beliefs; Vulnerable situations of women; Religious minorities and new religious movements), 2008 (Citizenship issues and religious discrimination in administrative procedures), 2009 (Situations of persons in vulnerable situations including persons deprived of their liberty, refugees, asylum seekers and internally displaced persons, children, persons belonging to national or ethnic, religious and linguistic minorities and migrants), 2013 (Freedom of religion or belief of persons belonging to religious minorities), 2022 (Indigenous peoples and the right to freedom of religion or belief).

[5] Si veda il Report 2005 (Places of worship and other religious buildings or properties; Religious publications; Registration). Interessante in proposito anche il Report 2007 (Discrimination based on religion or belief and its impact on the enjoyment of economic, social and cultural rights).

[6] Tra gli altri, School Education (2001 e 2011), Racial and religious hatred; Display of religious symbols (2006), Equality between men and women (2013), Rights of the child and his or her parents in the area of freedom of religion or belief (2015), Freedom of opinion and expression (2016), National Security (2018), Gender Equality (2020), Freedom of Thought (2021), Religious or belief minorities in situations of conflict and insecurity (2022).

[7] Così i Reports 1995 (Elimination of all forms of religious intolerance), 2001 (Cooperation with non-governmental organizations), 2003 (Prevention of intolerance and discrimination), 2004, 2003 e 2001 (Interreligious dialogue), 2005 (Anti-terrorist legislation), 2011 (The role of the State in promoting interreligious communication), 2014 (Tackling religious intolerance and discrimination in the workplace; Tackling manifestations of collective religious hatred), 2015 (Preventing violence committed in the name of religion), 2019 (Combatting Antisemitism to eliminate discrimination and intolerance based on religion or belief), 2021 (Countering Islamophobia/Anti-Muslim hatred to eliminate discrimination and intolerance based on religion or belief).

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