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La prova scientifica nei reati alimentari

Col. Amedeo De Franceschi

Nonostante la filiera del cibo abbia raggiunto un valore di 575 miliardi di euro nel 2021, con 4 milioni di lavoratori impiegati in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, con oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio, ed una costante crescita delle esportazioni all’estero arrivata ad un valore di circa 52 miliardi nel 2021; nonostante emerga con sempre più evidenza, come il comparto agroalimentare rappresenti un terreno privilegiato per le organizzazioni criminali, il corredo di strumenti investigativi e di istituti giudiziari a disposizione della polizia e della autorità giudiziaria atti a contrastare l’alto rischio legato al reato di contraffazione, non appare adeguato.

 

La nostra legislazione in materia di illeciti penali alimentari che risale al 1930, è orientata su pene afflittive esclusivamente per i delitti in danno alla salute (art. 440 c.p. e segg.), mentre per i delitti contro l’industria e il commercio (art. 515 cp e segg.), che rappresentano ad oggi la quasi totalità delle condotte illecite nel settore, non vi è ancora stato quell’aggiornamento ineludibile al fine di ottenere l’effetto deterrente proprio della norma penale.

Successivamente all’’inserimento nel codice penale del reato specifico di contraffazione e alterazione di indicazioni geografiche (517 quater), datato 2009, non vi è stato ad oggi alcuna revisione e/o riforma della materia penale nonostante il lavoro svolto dalla Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare presieduta dal Dr. Gian Carlo Caselli ed istituita con D.M. Giustizia 30.4.2015, che ha prodotto uno schema di disegno di legge con un quadro complessivo di interventi e proposte atte a risolvere le criticità sopra evidenziate.

Tra i punti critici evidenziati dalla suddetta Commissione appare, attuale come non mai, il tema della ricerca delle fonti di prova, in particolare per le frodi commerciali cosiddette intrinseche le quali il più delle volte “non sono rivelabili alle analisi ufficiali, proprio perché pensate in modo da eludere i parametri legali”.

Lo scopo che questa breve rassegna si prefigge è quello di riaprire la discussione sulla proposta, ai sensi dell’art. 189 c.p.p. di modifica che la Commissione suggeriva, tesa a far valutare dal giudice come prove atipiche (del pari, ad es., al riconoscimento fotografico) le analisi di alimenti effettuate con metodiche “non ufficiali” alla luce del nuovo Regolamento Europeo n.625 del 2017 che all’art. 34 ha disciplinato in maniera organica la materia dei campionamenti, prove e diagnosi.

La prova scientifica nei reati alimentari

I primi strumenti di indagine forense utilizzati dalla polizia giudiziaria per provare frodi alimentari aventi per oggetto la contraffazione dell’origine geografica dei prodotti alimentari entrano nelle aule dei tribunali solo successivamente allo scandalo del “vino al metanolo”.
E’ in seguito a quello scandalo, infatti, che il legislatore costruisce ex novo la filiera vitivinicola adottando il modello delle denominazioni di origine controllata e/o garantita (Doc e Docg) con disciplinari di produzione che vincolano la produzione a vitigni autoctoni, a rese di produzione massime caratteristiche di quell’areale di produzione specifico e a verifiche e controlli della origine geografica con metodi “sperimentali” capaci di determinare l’origine geografica dell’uva direttamente analizzando il campione prelevato al dettaglio.

L’unione europea e l’organizzazione mondiale della vite e del vino (OIV) riconoscono nel 1986 come metodi ufficiali le analisi isotopiche per l’identificazione di aggiunte zuccherine (OIV MA-AS-311-05, OIV MA-AS-312-06) e l’annacquamento del vino (OIV MA-AS2-12) e per permetterne la tracciabilità geografica, in ragione del fatto che i rapporti isotopici nei composti presenti in natura hanno valori diversi a seconda dell’origine geografica, del clima e delle caratteristiche geologiche dell’area di provenienza nonché delle pratiche di concimazione adottate e del tipo di pianta.
A tal riguardo è opportuno andare a riprendere il dettato della sentenza della Corte di Giustizia del 5 giugno 1997 nel procedimento C-105/94, avente come tema la determinazione di un possibile aggiunta illecita di acqua nel vino quando dispone, ancor prima della entrata in vigore della legislazione alimentare europea, che spetta al giudice nazionale stabilire, in base alle norme processuali vigenti nel suo Stato membro, se il metodo d’analisi dei vini denominato «determinazione del rapporto isotopico O 18 / O 16 dell’acqua contenuta nel vino» sia conforme ai criteri di esattezza, di ripetibilità e di riproducibilità sanciti dall’art. 74, n. 2, del regolamento n. 822/87.
Il successo commerciale del “Sistema Vino” è sotto gli occhi di tutti e numerose sono state le indagini di polizia giudiziaria che hanno utilizzato le tecniche isotopiche per svelare frodi altrimenti non rilevabili.

Lawful Interception per gli Operatori di Tlc

Questa tecnica scientifica per funzionare, tuttavia, necessita di un data base che ogni anno deve essere aggiornato attraverso l’elaborazione di una mappatura della campagna vendemmiale la quale risente, come detto, dell’influenza di numerosi parametri stagionali.
Quanto detto sta a significare che è possibile replicare il modello per determinare l’origine geografica di altri prodotti alimentari, anche trasformati, come i formaggi o l’olio extravergine di oliva a condizione che il latte e le olive di partenza siano vincolate ad un areale di produzione ben delimitato così come previsto per le denominazioni di origine geografica protetta.

Il Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, cui fanno capo 363 caseifici, nel 2018 provvede proprio a sviluppare tale metodologia di controllo apportando alcune modifiche al disciplinare di produzione per incrementare la capacità di tutela del marchio.
Attraverso l’analisi dei rapporti di isotopi stabili e di macro e microelementi, il Consorzio ha creato una banca dati che definisce e caratterizza il formaggio «Parmigiano Reggiano», depositata presso l’Organismo di Controllo e presso il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, alimentata attraverso metodiche di spettrometria di massa e rilevazione di rapporti isotopici (IRMS) e che consente di determinare se il prodotto proviene o meno dalla zona di origine dichiarata.

Il made in Italy

Più complesse risultano essere, invero, le indagini scientifiche o le fonti di prova che attestino o certifichino l’italianità del prodotto agroalimentare, in quanto non è possibile utilizzare il database degli isotopi stabili, in ragione del fatto che infinite possono essere le miscele e quindi di fatto risulta irrealizzabile la creazione di un database di riferimento del 100% italiano.
Si tratta, quindi, di trovare dei marcatori molecolari non ancora riconosciuti a livello regolamentare ma che, unitamente ad altri elementi, possono assurgere ad elementi di prova dell’operata frode.
Cosi ad esempio, nel 2011, durante una attività di indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Firenze riguardante una partita di olio extravergine di dubbia provenienza a causa di una documentazione attestante la tracciabilità palesemente artefatta con l’apposizione ex post su tutti i documenti di accompagnamento della indicazione obbligatoria della origine geografica.
In questo caso fu richiesto al Gip con l’ausilio della procedura penale dell’incidente probatorio l’effettuazione di una analisi sperimentale, ma già riconosciuta dalla comunità scientifica, per la ricerca di alcuni marcatori (Lercker, alchil esteri) come caratterizzanti in maniera indiretta di un processo produttivo (deodorazione blanda) non ammesso dalle norme per l’ottenimento di olio EVO.
Qualche anno dopo, questa volta presso la direzione distrettuale antimafia di Bari, fu utilizzata la tecnica del Dna, sino ad allora mai impiegata, per riconoscere la varietà di olive da cui era stato estratto l’olio extravergine etichettato come 100% italiano, direttamente analizzando il contenuto delle confezioni sigillate.

Nel primo caso, nelle more della effettuazione della analisi, il procedimento penale è stato archiviato a seguito dell’intervento del legislatore europeo, inserendo il parametro degli “alchil esteri” nel catalogo delle norme ufficiali di analisi, nel secondo caso invece la tecnica analitica unita alle verifiche sul campo e ad altre fonti di prova fu sufficiente a motivare l’ordinanza di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria.
Appare opportuno citare un passaggio della sentenza della terza sezione penale del tribunale di Bari n. 5360/2015 chiamata a decidere su una istanza di riesame avverso un decreto di convalida di alcune misure cautelari reali eseguite nel dicembre 2015 presso alcune ditte del comparto oleario, nella quale si contestava la non ufficialità della tecnica del DNA utilizzata dalla autorità giudiziaria al fine di verificare la corretta origine geografica dei lotti sequestrati.
Non sarebbe certo il primo caso, si legge nella sentenza, che l’interpretazione giurisprudenziale si farebbe carico di verificare la valenza di un metodo scientifico di accertamento di dati fattuali (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al vasto filone interpretativo sviluppatosi sulla comparazione dei rilievi dattiloscopici) anche prima ed a prescindere da interventi legislativi sullo stesso punto.

Una sentenza che sembra, invero, contraddire la considerazione che ad una rapida affermazione del progresso scientifico, – capace come abbiamo visto – di autenticare con tecniche all’avanguardia sia l’età di alcuni manufatti sia l’origine geografica, non vi sia stato un altrettanto dinamismo del processo penale proprio sulle modalità dell’accertamento giurisdizionale nell’ambito dei reati alimentari.
Ed è per questo motivo che la citata Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare, suggeriva, “partendo dal recepimento di un orientamento giurisprudenziale che decreta l’irrilevanza di nullità di analisi di alimenti effettuate con metodi “non ufficiali”, di prevedere – onde evitare incertezze applicativo-esegetiche – che gli esiti sperimentali siano liberamente valutabili dal giudice come prove atipiche (del pari, ad es., al riconoscimento fotografico), ai sensi dell’art. 189 c.p.p.
Tale modifica, tuttavia, non ha trovato il favore di alcune associazioni di categoria come si riscontra negli atti depositati presso la II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati della XX legislatura riguardanti una Audizione su Ddl Nuove norme in materia di illeciti agro-alimentari (C. 2427), dove lo si considera testualmente “come un tentativo di surrogare metodi e procedure di analisi ufficiali con analisi e metodi sperimentali, che minerebbero la genuinità della prova stessa”.

Non è stato dello stesso avviso il legislatore europeo che nel riordinare la materia dei controlli ufficiali in tema di analisi chimico fisiche, qualche anno più tardi, ha previsto con l’art.34 del regolamento UE 625/2017, che, in assenza di norme ufficiali dell’Unione nel contesto di controlli ufficiali e altre attività ufficiali, i laboratori ufficiali possono applicare a seconda della relativa idoneità per le esigenze specifiche di analisi, prova e diagnosi, metodi disponibili conformi a pertinenti norme o protocolli riconosciuti internazionalmente, o metodi conformi alle norme pertinenti definite a livello nazionale e se tali norme non esistono, metodi pertinenti sviluppati o raccomandati dai laboratori di riferimento dell’Unione europea e convalidati in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente.

In conclusione, alla luce della nuova disciplina del diritto europeo, si osserva la ineludibilità della riforma dell’art.189 c.p.p. al fine di rendere lo strumento investigativo più idoneo all’ accertamento del reato e più adeguato alla modernità che l’evoluzione tecnologica richiede senza, tuttavia, modificarne la ratio sottesa, ovvero di acquisire la prova atipica quando questa risulti idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti senza pregiudicare la libertà morale della persona, così come, invero, aveva suggerito la “Commissione Caselli” nel 2015 assimilandola alla prova sperimentale.

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