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La determinante dell’autoefficacia nel modo organizzativo

di Marco Pacifico

Il presente contributo fonda la sua attenzione sull’opera maestra dello psicologo canadese Albert Bandura richiamando i costrutti centrali per lo sviluppo della convinzione di autoefficacia, ritenuta oggi la più grande determinante di prestazione e benessere individuale, focalizzandola all’interno del mondo organizzativo e richiamando l’attenzione sulla necessità di riportare l’essere umano al centro del sistema occupazionale.

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Avere quell’insieme di proprietà che permettono di essere cosciente di sé, di dare senso e valore alla propria esistenza, garantendo una identità nel modo di pensare, sentire e agire appare sempre più fondamentale e necessario in una società che soprattutto post Covid, si caratterizza per anomia, scarsa socialità e un modo completamente nuovo di essere connessi. Questo sistema che emerge dalla concertazione di eredità ed esperienza, che permette all’organismo biologico di interagire con il mondo fisico e sociale e alla specie umana di progettare è garante per il proprio futuro, si tratta di un’interfaccia con il mondo esterno determinante ai fini del benessere personale, relazionale, sociale. Noi addetti ai lavori, la chiamiamo personalità, l’insieme di strutture e processi mentali che regolano la relazione della persona nel mondo, che ne garantisce la vita e l’adattamento per una continua esperienza dalla quale ciascuno trae la sua individualità.

Dopo un quarto di secolo dedicato allo studio di questo meraviglioso “sistema”, dal suo potenziamento allo sviluppo della patologia sino all’applicazione nei contesti organizzativi posso affermare, in linea con la ricerca scientifica, che una delle componenti più determinanti e protettive per l’essere umano è lo sviluppo della convinzione di autoefficacia.

Già, non basta sentirsi dire di essere capaci, è necessario scoprirlo attraverso il fare, per consentire alla Knowledge di diventare Appraisal.

Le persone vengono al mondo con un vasto repertorio di potenzialità che costituisce l’equipaggiamento di base per far fronte a quanto la vita richiede e in questo continuo scambio con i contesti culturali e sociali si predispongono le condizioni affinché le potenzialità si cristallizzino in abilità, abitudini, convinzioni e preferenze (Caprara, Barbaranelli, Vecchione, Alessandri, Pacifico, Cinque, 2017).

A dirlo è il padre fondatore della teoria social cognitiva, Albert Bandura, probabilmente il più influente psicologo del secolo che grazie ai suoi studi ha solcato questo campo di studio scientifico.

Già dagli anni ‘60 nell’ambito degli studi sulla psicologia di comunità, e poi rapidamente adottato in ambito organizzativo si era diffuso il concetto di empowerment, rimandando all’idea di scelta attiva, partecipazione, adesione volontaria, autodirezione, autorealizzazione, corresponsabilità, ma è la grande opera dello psicologo canadese ad offrire direttive chiare e operative, riportando al centro del sistema l’essere umano e la sua personalità.

Bandura (1986) si focalizza sull’agentività: la capacità di agire nel contesto attraverso delle azioni finalizzate ad influenzare le circostanze e l’ambiente per ottenere un determinato risultato. Questa capacità si sviluppa nell’individuo a partire dall’osservazione e dalla sperimentazione che le azioni producono sull’ambiente. Si stabilizza con il riconoscere se stessi come capaci di modificare gli eventi, dando vita alla realizzazione di sé. Un ruolo fondamentale è la formazione dell’identità che fa riferimento al senso di individualità e alla propria auto-caratterizzazione. L’identità consente di effettuare una costruzione, valutazione e modificazione delle alternative comportamentali quando si intraprende un’azione, per anticiparne i possibili risultati dalle opzioni che si prendono in considerazione. Non è solo rilevante conoscere informazioni, metodi, strategie ma risulta necessario per l’individuo sperimentare la capacità di agire sulle circostanze e ricercare e costruire il proprio ambiente. I processi cognitivi si attivano nell’area corticale prefrontale, influente nella regolazione cognitiva connessa con i sistemi sensoriali, motori e le strutture limbiche che controllano la regolazione affettiva e i processi decisionali. Nella teoria agentica, la reciproca interazione tra gli schemi cognitivi sull’opinione di sé, le credenze, gli obiettivi, le aspettative, condizionano il modo in cui le informazioni sono codificate, organizzate e ricordate. Il processo autoregolativo è condizionato dall’autoefficacia, per facilitare l’assunzione di responsabilità ad intraprendere azioni che agiscano adeguatamente sull’ambiente e si sviluppa.

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L’autoefficacia si stabilizza a partire dall’apprendimento vicario di validi modelli di riferimento. L’osservazione di persone che ottengono dei buoni risultati attraverso l’impegno, favorisce l’identificazione dell’osservatore con le capacità del modello di riferimento e che consentirà l’avvio del comportamento imitativo. Le credenze di auto-efficacia, se accurate o difettose, sono un prodotto di un processo complesso di auto-valutazione e di auto-persuasione che conta su elaborazione conoscitiva di diverse fonti di informazione sull’efficacia (Feltz et al., 2008).

Per il suo sviluppo Bandura (1977, 1986, 1997) ha proposto quattro principali fonti di informazione:

  1. Le esperienze di una efficace gestione degli eventi: in questa rientrano tutte quelle esperienze nelle quali il soggetto ha affrontato con successo delle determinate situazioni che ha percepito come difficili ed ha ottenuto espliciti feedback positivi riguardo le proprie capacità di utilizzare bene le risorse per riuscire nel superamento del compito. Come evidenziato da Bandura (1986, 1997) i risultati delle prestazioni passate sono la fonte più influente di informazioni sull’efficacia per gli atleti perché si basano sulle proprie esperienze. Così, le prestazioni reali dei comportamenti che portano al successo è il modo più potente per costruire l’auto-efficacia. Secondo la teoria dell’auto-efficacia, i successi dovrebbero aumentare le credenze di auto-efficacia, e i fallimenti dovrebbero abbassarle.

 

  1. L’esperienza vicaria: la seconda fonte di auto-efficacia sono le esperienze vicarie. Nella teoria dell’autoefficacia, le esperienze vicarie sono quelle che coinvolgono l’osservazione e il confronto con gli altri o con le norme. L’osservazione delle persone, per alcuni versi simili, che riescono a raggiungere i propri obiettivi o ad affrontare situazioni problematiche attraverso l’impegno e l’azione, accresce nell’osservatore la convinzione di possedere anch’egli le abilità necessarie per ottenere una buona riuscita in situazioni analoghe. Secondo Bandura, in situazioni ambigue, “le persone devono valutare le loro capacità in relazione ai risultati degli altri” (1997).

 

  1. La persuasione: l’importanza della fonte di persuasione verbale delle credenze di auto-efficacia può essere riassunta con questa citazione: “Tutti gli interventi psicologici efficaci iniziano e finiscono con la comunicazione, indipendentemente dalle tecniche impiegate in mezzo” (Maddux and Lewis, 1995). Le persone significative hanno la capacità di sollecitare verbalmente nel soggetto le sue potenzialità a risolvere la situazione problematica; tuttavia è necessario organizzare nell’ambito educativo dei setting adeguati, dove il soggetto impara a confrontarsi con compiti di difficoltà crescenti, in maniera tale da garantire, per quanto possibile, esperienze di successo. Sebbene vi sia una ricerca notevolmente minore su questa fonte di autoefficacia, è importante considerare il suo potenziale impatto su tutti gli interventi basati sull’autoefficacia. Di per sé, la persuasione verbale è una fonte meno potente di credenze di auto-efficacia rispetto alle altre fonti presentate finora (Bandura, 1997).

 

  1. La capacità naturale del soggetto di percepire in senso positivo le condizioni fisiche ed emotive in cui vive: la persona passa attraverso vari stati di attivazione che possono essere percepiti in modo differente in rapporto all’elaborazione cognitiva che viene effettuata nelle varie circostanze, nello specifico, può percepire affaticamento o mobilizzazione delle energie utili al superamento del compito, con conseguenze inevitabili sul comportamento del soggetto nei confronti del compito. Le persone valutano cognitivamente il loro stato fisiologico o condizione per formare giudizi di auto-efficacia nel decidere se possono soddisfare con successo le esigenze di compito (Feltz et al., 2008). Nei suoi scritti, Bandura (1997) combina stati fisiologici e affettivi perché entrambi hanno una base fisiologica.

 

Conclusioni

Competenza, valutazione, riconoscimento, bilancio, analisi: concetti chiave che negli ultimi anni hanno assunto, a livello mondiale, una centralità e una significatività nei contesti professionali e sociali del mondo occupazionale.

Oggi sappiamo che l’individuo giudica le proprie capacità affidandosi agli stati emotivi e fisiologici, che possono alterare l’idea di non poter eseguire un buon compito. Centrarsi sull’acquisizione nozionista di informazioni e procedure, non sembra, pertanto, la strada maestra, piuttosto la capacità di recepire e interpretare gli stati d’animo, potenziare la consapevolezza di sé, avere quella necessaria intelligenza emotiva rappresentano nuclei centrali della rappresentazione di sé come responsabile di attribuire un significato a quanto ci accade intorno.

Un’attenzione maggiore al soggetto e alle sue competenze emotive, relazionali e sociali appare, quindi, in quest’ottica determinante, per favorire uno sviluppo di regolazione del sé, porlo alla guida di se stesso, migliorare i processi di gestione del personale (leading) e offrire delle dimensioni protettive nel suo scambio con l’ambiente, producendo maggiori risultati in termini di profitto occupazionale e di benessere individuale nella gestione dello stress.

In ciò cambia completamente prospettiva il concetto di skill: da una tradizionale visione centrata sulle componenti hard, di tipo tecnico e fisico ad un’enfasi sull’area del sé e relazionale della personalità, ponendo il focus su dimensioni come  l’identità, l’autodirezione,  l’intimità e l’empatia (Barbaranelli, Pacifico, Rapanà, Rosa, Giannini, Giusti, 2019). L’ attualissima discussione su competenze, skill e abilità rivela la necessità di ripensare le politiche delle risorse umane superando il vecchio paradigma tayloriano, introducendo un tema di grande attualità come le soft skills, quelle abilità trasversali proprie dell’essere umano e applicabili ai diversi contesti con cui interagisce, richiamando il connubio più importante della vita: se sei fai, se fai sei.

 

Bibliografia

Bandura, A. (1977). Self-efficacy: toward a unifying theory of behavioural change. Psychological Review, 84, 191–215.

Bandura, A. (1986). Social foundations of thought and action: a social cognitive theory. Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall.

Bandura, A. (1997). Self-efficacy: the exercise of control. New York: Freeman.

Bandura, A. (2001). Social cognitive theory: an agentic perspective. Annual Review of Psychology, 52, 1–26.

Bandura, A. (2006). Autobiography. In M. G. Lindzey and W. M. Runyan (eds), A history of psychology in autobiography (Vol. IX). Washington, DC: American Psychological Association.

Barbaranelli, C., Pacifico, M et al. (2019). Dimensional Personality Assessment. Giunti Psychometrics.

Caprara G.V., Barbaranelli C., Pacifico M., et al. (2017), Turning Potentials into abilities. Hogrefe Italia.

Feltz, D. L., Short, S. E. and Sullivan, P. J. (2008). Self-efficacy in sport. Champaign, IL: Human Kinetics.

Maddux, J. E. and Lewis, J. (1995). Self-efficacy and adjustment: basic principles and issues. In J. E. Maddux (ed.), Self-efficacy, adaptation, and adjustment: theory, research, and application (pp. 37–68). New York: Plenum Press.

Haggbloom, S. J., Warnick, R., Warnick, J. E., Jones, V. K., Yarbrough, G. L., et al. (2002). The 100 most eminent psychologists of the 20th century. Review of General Psychology, 6, 139–152.

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