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DIRITTO ALL’OBLIO: PRIME PRONUNCE DEL GARANTE

di Graziano Garrisi

Il Garante ha adottato i primi provvedimenti in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzare pagine presenti sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico. In sette dei nove casi definiti [doc. web nn. 3623819, 3623851, 3623897, 3623919, 3623954, 3624003 e 3624021] il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo che la posizione di Google fosse corretta. Nei due casi rimanenti [doc. web nn. 3623877 e 3623978], invece, l’Autorità ha accolto la richiesta dei segnalanti.

 


A partire dalla sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 13 maggio 2014 (causa C-131/12) 1 , numerose segnalazioni e ricorsi sono pervenuti al Garante Privacy da parte di utenti che, chiedendo a Google la deindicizzazione dei risultati che comparivano in seguito alla digitazione del loro nome e cognome, si sono visti opporre dal motore di ricerca un rifiuto. Infatti, mentre prima il cittadino che voleva deindicizzare un’informazione personale trovata su internet doveva rivolgersi all’editore del sito web che aveva pubblicato la notizia, ora può chiamare in causa direttamente il motore di ricerca.
I soggetti interessati, ricorrendo in seguito al Garante contro l’opposizione di Google, in alcuni casi si sono visti rigettare anche quest’ultima richiesta. I motivi alla base di tali decisioni, come vedremo, risentono di una rigida interpretazione dei principi e delle regole previste nel Codice privacy, che considerano preminente l’interesse pubblico rispetto alla riservatezza dei soggetti interessati al trattamento. Nello specifico, l’art. 7 del Codice Privacy, al comma 3, lett. b), enuncia il diritto dell’interessato alla “cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati”.

Come già si sa, infatti, il diritto all’oblio 2  offre una tutela contro la pubblicazione in rete di dati che non rivestono allo stato attuale un interesse pubblico tale da giustificarne la diffusione e la conseguente reperibilità da parte della collettività. Di contro, il motore di ricerca ha la capacità di semplificare la ricerca di informazioni relative a una determinata vicenda o alla vita privata e professionale di un soggetto: basterà digitare il suo nome e cognome e si verrà a conoscenza di più informazioni di quelle che l’interessato avrebbe voluto diffondere. L’identità online di un individuo viene quindi costituita dall’unione dei vari tasselli sparsi in rete sotto forma di dati, poco importando che alcune delle informazioni recepite non siano né attendibili né caratterizzate da pubblico interesse. Non solo i dati non veritieri e quelli trattati non conformemente a quanto prescritto dalla normativa in materia di corretto trattamento, ma anche i dati esatti, ma di scarso interesse pubblico rientrano nell’alveo della tutela offerta dal diritto all’oblio.

 

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