Valutazioni sull’analisi delle impronte digitali (II parte)

di Silvestro Marascio, Rachele Selvaggia De Stefanis, Nicola Caprioli

L’importanza identificativa delle impronte digitali e, più in generale, dei dati biometrici è oramai risaputa e spazia sempre più tra contesti di carattere nazionale e transnazionale. Pietra miliare, per la definizione concettuale sugli studi biometrici applicati alla sicurezza, fu sicuramente l’attività del francese Alphonse Bertillon. Nel corso degli anni successivi, le valutazioni espresse dalla comunità scientifica che andava formandosi arrivarono a recepire alcuni dei suoi insegnamenti, integrandoli, però, con i rilievi delle impronte digitali/palmari. Di elevato interesse sono l’attività del dattiloscopista, impegnato nell’analisi di un tracciato papillare al fine di ricondurlo a sicura identità, così come quella dell’operatore intervenuto sul luogo del reato, il quale riesce a rendere evidenti tracce latenti correlate all’evento investigato, permettendo così il prosieguo degli accertamenti di tipo laboratoriale.

In questo numero: 1. Utilità dello studio del dermatoglifo, 2. Valutazioni sull’utilità dattiloscopica.

Nel precedente numero: 1. Utilità dello studio del dermatoglifo, 2. Valutazioni sull’utilità dattiloscopica. In questo numero: 3. Sull’opportunità del contraddittorio “scientifico” anticipato. L’utilità del frammento papillare giuridicamente “non utilizzabile” a fini probatori per addivenire alla identità negativa del soggetto indagato.


3. Sull’opportunità del contraddittorio “scientifico” anticipato. L’utilità del frammento papillare giuridicamente “non utilizzabile” a fini probatori per addivenire alla identità negativa del soggetto indagato

A fronte della disamina condotta, è possibile svolgere alcune riflessioni che scaturiscono, direttamente, dalle difficoltà e numerose incognite con cui l’operatore si deve confrontare nel corso di un’indagine per addivenire all’identificazione di un soggetto ignoto, per il tramite del rilievo dattiloscopico, ovvero nel compiere qualsiasi altra attività tecnico scientifica, soprattutto sulla scena del crimine. Una puntuale disamina tecnica rende chiara, a parere di chi scrive, l’opportunità – se non, addirittura, la necessità – di anticipare quanto più possibile il “contraddittorio” tra tutte le parti processuali coinvolte già nelle fasi delle indagini preliminari. In questo contesto, si vuole intendere con “contraddittorio” l’occasione in cui si forma una conoscenza condivisa, coinvolgendo le figure tecniche a supporto, siano essi consulenti, periti ovvero gli stessi operatori del diritto, PM e Avvocati.
L’incessante avanzare e svilupparsi delle scienze forensi e delle tecniche di analisi comporta, infatti, in parallelo, che il professionista legale debba verticalizzare sempre più il proprio sapere, sviluppando conoscenze sempre più complesse, anche se apparentemente lontane dalla funzione della difesa, al fine di interagire, con una cognizione quanto meno base, con i reparti scientifici delle FF.OO.
Tali competenze – qui riferite al mondo della criminalistica applicata sono volte, invero, ad agevolare proprio quel contraddittorio cui si accennava non solo con i propri tecnici ma anche, e soprattutto, con quelli della Pubblica Accusa assieme ai quali è essenziale creare una fattiva collaborazione scientifica al fine di svolgere, al meglio, tutte le attività sia di ricerca tracce sia, successivamente, di laboratorio che possano interessare le parti. E ciò non solo a garanzia del proprio assistito, indagato o persona offesa che sia, ma anche, e soprattutto, a garanzia del modus operandi di ricerca della prova e delle fonti di prova che trovano la naturale formazione già in sede di indagine.
Si pensi al sopralluogo tecnico – svolto ai sensi dell’art. 354 c.p.p. – sulla scena di crimini violenti che viene operato, nell’immediatezza, dal personale specializzato delle FF.OO, sopralluogo cui, generalmente, per evidenti ragioni – autore ignoto, dinamica non evidente, mancanza di reo confesso ovvero di un avvocato con competenze specifiche – il difensore dell’indagato non partecipa, dovendo rimandare tale attività a giorni, e spesso mesi, successivi sempre che le sue competenze gli consentano di operare una simile attività difensiva, al fine di ricercare tracce e fonti di prova utili. Nella maggior parte dei casi, infatti, il difensore prenderà atto esclusivamente dei dati scientifici, delle prove, dei reperti e di qualsiasi altro elemento rinvenuto sulla scena del crimine, esclusivamente per il tramite del materiale fotografico e dai verbali versati in atti senza aver mai avuto una contezza diretta né, tanto meno, aver partecipato al processo operativo di formazione di quella determinata fonte di prova scientifica. Soprattutto, potrà averne contezza solo al termine delle indagini e successivamente alla notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. con il quale verrà operata una disclosure totale del fascicolo investigativo. Per quanto attiene, più specificamente, al tema trattato nel presente contributo, si pensi alla scarsa qualità e alla nitidezza dell’immagine che ritrae il rilievo dattiloscopico rinvenuto o evidenziato sulla scena e che si è reputato, appunto, soltanto di fotografare senza asportarlo con l’apposito adesivo; oppure, all’errata valutazione di una superficie porosa o non porosa, con conseguente errore nella scelta del prodotto o della procedura di evidenziazione del rilievo dattiloscopico e conseguente dispersione della traccia; o ancora al rinvenimento di frammenti dattiloscopici di riscontro, in prima battuta inconcludenti (si pensi a mancati riscontri generalizzati con le c.d. “impronte dello scrittore” oppure talune particolarità come le porzioni apicali o sottodigitali) ma che, con verifiche mirate, potrebbero fornire un riscontro utile (c.d. “uno a uno”: impronte di un sospettato contro frammenti individuati).

 

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Valutazioni sull’analisi delle impronte digitali (I parte)

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