Registrazione di conversazione tra privati: per attività di PG necessaria l’autorizzazione

di Simona Usai

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza n. 19158 del 20 marzo 2015 e depositata l’8 maggio 2015

La Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che “ciascuno dei soggetti che partecipano ad una conversazione è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma piu’ opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti […]
Diversa è l’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di registrazione eseguita da un privato, su indicazione della polizia giudiziaria ed avvalendosi di strumenti da questa predisposti. In giurisprudenza […] si è ritenuta, invece, l’inutilizzabilita’ di registrazioni di conversazioni effettuate, in assenza di autorizzazione del giudice”.


 

Di recente si è tornati a discutere circa la possibilità di poter essere registrati nel corso di una conversazione senza saperlo. Sul punto si è pronunciata la Corte di Cassazione, ribadendo un orientamento ormai consolidato nel nostro sistema.
Secondo la giurisprudenza le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute per iniziativa di uno degli interlocutori, non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma rappresentano una particolare forma di “documentazione”, che non è sottoposta ai limiti e alle finalità, proprie delle intercettazioni, e in quanto tali non necessitano dell’autorizzazione del giudice delle indagini preliminari.

È opportuno distinguere i due concetti, poiché una registrazione fatta da un privato è una attività distinta da una c.d. intercettazione.
Il codice non offre una definizione di intercettazione, ma dal complesso normativo, che ne prevede l’autorizzazione e presupposti, si evince che l’intercettazione “rituale” consiste nell’apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio.
In questo modo, l’intercettazione di comunicazioni interprivate richiede – perché sia qualificata come tale –  una serie di requisiti:
a) i soggetti devono comunicare tra loro col preciso intento di escludere estranei dal contenuto della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest’ultima segreta: b) è necessario l’uso di strumenti tecnici di percezione (elettro-meccanici o elettronici) particolarmente invasivi ed insidiosi, idonei a superare le cautele elementari che dovrebbero garantire la libertà e segretezza del colloquio e a captarne i contenuti; c) l’assoluta estraneità al colloquio del soggetto captante che, in modo clandestino, consenta la violazione della segretezza della conversazione.
Da quanto appena riportato, deve escludersi che possa essere ricondotta nel concetto d’intercettazione la registrazione di un colloquio, svoltosi a viva voce o per mezzo di uno strumento di trasmissione, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi. Difettano, in questa ipotesi, sia la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, sia la “terzietà” del captante.

La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, entra a fare parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio). Ciascuno di tali interlocutori è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e, quindi, prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti; pertanto, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori.

È diverso se ad effettuare la registrazione è una persona terza oppure se la stessa non è presente alla conversazione audio, in questo caso la registrazione è illegittima. Questo vale anche nel caso in cui il registrante si allontani lasciando attiva la registrazione, anche se l’inutilizzabilità si applica solo al periodo in cui egli è assente. La considerazione vale anche per la dimora privata: se la registrazione avviene nell’abitazione privata da parte di un soggetto non partecipante, si configura il reato di illecita interferenza nell’altrui vita privata secondo l’art. 615 bis cod. pen.
Più in generale le registrazioni sono lecite secondo la Corte di Cassazione quando sono effettuate all’interno dell’autovettura, in casa, ufficio, in un’area pubblica oppure all’interno di un locale pubblico in quanto non si lede la privacy altrui per il principio che “chi dialoga accetta il rischio che la conversazione sia registrata.”

La giurisprudenza precisa, altresì, che l’acquisizione al processo della registrazione del colloquio può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234/1° c.p.p., che qualifica “documento” tutto ciò che rappresenta «fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo»; il nastro contenente la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare (si pensi alla vittima di un’estorsione) una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce coi ricevere una legittimazione costituzionale.

Il divieto di divulgazione di notizie legittimamente apprese, quale espressione del diritto di riservatezza del comunicante, non ha carattere assoluto neppure alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), resa esecutiva in Italia con legge 848/55.
«È vero che, nella genericità della formula normativa adottata dal legislatore pattizio nell’art. 8 della Convenzione, è ricompressa la salvaguardia dell’interesse alla riservatezza, anche nel suo aspetto più “evoluto” di interesse al controllo sulla gestione delle informazioni fornite a terzi, ma non può sottacersi che il 2° comma del richiamato articolo pone l’accento, in particolare, su condotte di “introduzione, intromissione interferenza” e non anche su condotte divulgative e che il successivo art. 10, al comma 1°, riconosce il diritto alla libertà di espressione e quindi alla “libertà di ricevere o di comunicare informazioni”, di cui si è venuti legittimamente in possesso. Il secondo comma [della medesima norma] prevede che l’esercizio di tale diritto possa “essere subordinato a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni”, anche “per impedire la diffusione di informazioni riservate”, il che significa che la concreta tutela della riservatezza rimane affidata ad espresse previsioni della legge ordinaria di ogni singolo Stato aderente alla Convenzione».

Aspetto conseguente alla registrazione può essere la sua pubblicazione o divulgazione che, se fatta in assenza delle tutele sopra accennate, richiama il tipico caso di trattamento illecito dei dati (art. 167 del codice della privacy). Eccezione può essere fatta per la libertà di stampa, infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata, con la sentenza del 24 febbraio 2015, ed ha cambiato orientamento, statuendo appunto che la libertà di stampa va tutelata nel suo continuo progredire: è un diritto che va adeguato ad ogni singolo caso, sempreché i fatti siano di interesse pubblico, il quale prevale sull’interesse dei privati. La Corte di Strasburgo è stata perentoria nell’affermare che la condanna di un giornalista per l’utilizzo di una telecamera nascosta costituisce una evidente manifestazione dell’ampia categoria della violazione del diritto di cronaca, ma se da un lato è evidente che si sia verificata un’ingerenza nella vita di un soggetto privato (nel caso di specie un broker), dall’altro “i giornalisti hanno messo in posizione di rilievo l’interesse appartenente alla collettività a ricevere informazioni su un caso di impronta generale, senza tralasciare il rispetto delle regole deontologiche (soprattutto in riferimento alla circostanza di non rendere riconoscibile l’agente assicurativo)».

Riassumendo, mentre le intercettazioni possono essere disposte solo dall’autorità giudiziaria con un provvedimento motivato che le autorizzi, poiché tutti i soggetti captati sono all’oscuro di essere registrati, al contrario le normali registrazioni di conversazioni effettuate da uno dei presenti non necessitano di una previa autorizzazione del giudice.

In questa direzione si pone anche la recente sentenza della Cassazione, che ha precisato che la registrazione eseguita da un privato, su indicazione della polizia giudiziaria, che si avvale di strumenti da questa predisposti, non costituisce una forma di “documentazione” del dialogo, ma una vera e propria attività investigativa che comprime il diritto alla segretezza. Ebbene, in questi casi, in assenza di un’autorizzazione del giudice, la registrazione è ritenuta inutilizzabile nel processo penale. «In tal modo, si verrebbe a realizzare un surrettizio aggiramento delle regole che impongono il ricorso a strumenti tipici per comprimere il bene costituzionalmente protetto della segretezza delle comunicazioni».

La finalità investigativa della registrazione e la conseguente limitazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni impongono l’intervento di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ovvero un decreto motivato del pubblico ministero. La finalità di garanzia del provvedimento autorizzatorio impone la forma scritta con conseguente ostensione e fruibilità processuale della motivazione: si tratta di una forma di garanzia che non si ritiene soddisfatta attraverso la mera autorizzazione orale.

Quindi, non possono essere utilizzati come materiale probatorio nel processo penale le registrazioni di sommarie informazioni rese da p.g., o da queste clandestinamente registrate, verso persone a conoscenza di circostanze utili ai fini delle indagini, come per es. gli informatori, perché in questo  modo il processo verrebbe permeato da apporti unilaterali degli organi investigativi. ©

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