Jihad e Pandemia: tra ostacoli e opportunità

di Cinzia Mastrolia e Valentina Maddiona

 


La riorganizzazione del terrorismo salafita in tempo di Covid

La monopolizzazione dei canali di informazione da parte della pandemia di Covid 19 negli ultimi tre anni ha illusoriamente portato a credere che l’emergenza terrorismo potesse essere accantonata a favore di una priorità imprescindibile in materia sanitaria.

Le intelligence e le forze di polizia di tutto il mondo ci avvertono però che i movimenti sono ancora “vivi e vegeti”, come attestano le attività violente in Africa e Medioriente, ma anche la pericolosa e persistente propaganda portata avanti sul web[1].

In realtà, infatti, il Coronavirus non ha bloccato i tentativi di ripresa dello Stato Islamico e delle sue frange regionali, che hanno necessariamente dovuto adeguare i loro strumenti di reclutamento e propaganda alle restrizioni scaturite dalla pandemia, e allo stesso modo hanno cavalcato l’onda del “bisogno” per trovare nuovo consenso tra le fasce più deboli della popolazione.

L’impronta assistenzialistica delle organizzazioni jihadiste è uno dei punti cardine su cui si basa la ricerca del favore della comunità di riferimento: già prima della pandemia Is, lo Stato Islamico, aveva costruito una narrativa volta a mostrarsi come un’alternativa felice all’assenza di uno Stato assistenziale in molte regioni del Medio Oriente: pull factors molto spesso utilizzati nelle loro narrative (in particolare quando desideravano l’ingresso di gran parte della popolazione nei territori dello Stato Islamico) sono proprio la presenza di un sistema sanitario e di quello educativo, o la presenza di beni di consumo estremamente desiderati.

Attualmente, l’emergenza da food insecurity combinata con la mancanza di medicinali ed equipment medico, ha creato terreno fertile per convalidare questa facciata assistenzialistica e benevola delle organizzazioni salafite. Al-Shabab, per esempio, dispone di un comitato per la prevenzione e la cura e ha aperto un Centro Covid-19 a Jilib, a sud della capitale Mogadiscio[2].

Nella pratica, però, queste organizzazioni trovano finanziamento in illecite attività di contrabbando di materiale sanitario. Infatti, la tratta di persone, armi e droghe sembra aver rallentato, mentre il mercato nero delle forniture mediche appare in crescita, a testimonianza della resilienza e dell’adattabilità dei gruppi criminali organizzati[3].

Secondo Melcangi (2021) l’attuale emergenza globale rischia, infatti, nel breve ma soprattutto nel lungo periodo, di trasformare le sfide socio-economiche in profonde crisi politiche e securitarie (…) per le quali i gruppi sociali maggiormente vulnerabili ne pagherebbero il prezzo più alto. Questi, secondo l’Autrice, potrebbero diventare un nuovo bacino di reclutamento: si tratta di individui allo strenuo delle loro forze, insoddisfatti da governi inefficienti e privi delle risorse per rispondere alle problematiche crescenti. Le condizioni prodotte dal coronavirus potrebbero, pertanto, creare l’ambiente perfetto per il risveglio dei movimenti radicali.

 

Pandemia e propaganda

La pandemia fornisce inoltre la possibilità di distorcere nuovamente alcuni concetti religiosi. Assistiamo infatti all’interpretazione della stessa come punizione divina per gli infedeli e per l’Occidente nemico, con l’invito al “fratello” malato di Covid a infettare quanti più individui possibili. Cossiga (2021) spiega come chi resterà vittima del virus sarà considerato shadid, dunque martire. Il coronavirus è stato definito un “piccolo soldato di Allah[4] e una punizione per i miscredenti e per chi si è allontanato dal vero Islam”. Infatti, se da un lato si incita il fedele a contribuire alla diffusione della malattia, allo stesso tempo, vengono pubblicate guide, come la “Direttiva della Sharia per affrontare l’epidemia[5]”, che espongono le migliori misure di contenimento del Coronavirus, e che la Umma, la comunità di fedeli, viene invitata a seguire con attenzione.

Questo doppio utilizzo a proprio tornaconto dell’emergenza da coronavirus è in realtà in linea con le strategie di propaganda da sempre utilizzate dal terrorismo di matrice islamica: sappiamo infatti che le              organizzazioni terroriste sono a conoscenza del fatto che popolazione si possa suddividere in diverse fasce, le quali seguono tutte la campagna mediatica ma con un interesse variabile rispetto alle narrative veicolate, e si ritrovano dunque a essere influenzate in maniera differente. La forte consapevolezza di questa influenza, permette ad IS di manipolare al meglio le informazioni per trarre massimo risultato sull’audience. Così le narrative maggiormente violente vengono dirottate verso l’Occidente, affinché relazioni di sdegno e paura siano proiettate sulle popolazioni post- colonialiste, mentre la propaganda limitrofa si connota di politiche sociali e diviene l’antidoto per ricostruire una comunità di pari che non lascia indietro nessuno[6].

Nel veicolare narrative d’odio verso l’Occidente, al Qaeda aggiunge però una novità: cavalcando le difficoltà vissute dagli stessi americani e i disordini derivanti dai gruppi di protesta come il movimento Black Lives Matter, l’organizzazione si propone addirittura come un’alternativa “per gli oppressi e gli assoggettati, musulmani o non musulmani, vittime di ogni tipo di vessazione[7]”.

È chiaro come una retorica così polarizzante, che propone scelte semplici e basiche per sopravvivere ad una realtà difficile e complessa, la quale si districa tra emergenze sanitarie, crisi economiche e instabilità politiche, possa rendersi appetibile per una fascia di giovani musulmani (e non) chiusi all’interno delle loro stanze in pieno lockdown e privi della possibilità di avere sani contatti sociali. Del resto, il terrorismo mira a polarizzare le società su una linea di frattura etnico-religiosa, arruolando così tra le fila dei simpatizzanti dei terroristi tutti coloro che percepiscono l’ostilità di chi ha paura del terrorismo stesso[8].

 

L’utilizzo della Rete: Jihad 3.0

In questo processo propagandistico, la Rete assume una importanza fondamentale, in quanto capace di superare le barriere di spazio e tempo e gli ostacoli che la pandemia pone. Tramite il web, le piattaforme di gaming, i social e le chat di messaggistica, il terrorismo riesce a entrare nella vita delle persone, e a fornire il materiale necessario per accelerare il processo di radicalizzazione.

Nonostante l’impressione comune, l’utilizzo della Rete da parte dello Stato Islamico a fini propagandistici non è una novità: sebbene in modo più discreto, è Bin Laden a svolgere il ruolo di pioniere in questo ambito, utilizzando Internet come canale comunicativo già nel 1997 per l’attività promozionale di Al- Qaeda. Sarà poi Al- Zawahiri a riconoscerne ulteriormente l’importanza nel 2005, affermando come “più di metà  della battaglia è nei media”, e localizzando così il teatro operativo nel quale lo Stato Islamico ha voluto primeggiare: il mondo informatico[9].

Secondo Marone (2019) il web viene utilizzato dai terroristi per sei differenti attività: attacchi cyber; disseminazione di istruzioni operative; hacking e doxing; reclutamento e “entrepreneurship” virtuale terroristica; propaganda, ed infine, finanziamento[10].

Nel contesto della propaganda e del “cybercoaching[11]”, sebbene IS non sia la prima organizzazione terroristica che abbia fatto uso strategico dei media moderni, il livello di sofisticazione adottato da questo gruppo non ha precedenti[12]. Il New York Times è accurato nel descrivere la media strategy di IS come “jihad 3.0[13]”, a causa della sofisticata campagna mediatica che coinvolge l’uso di “propaganda multidimensionale[14]”, modalità di ripresa high tech e strumenti di editing[15].

Inizialmente, la loro propaganda era potenzialmente accessibile da chiunque nelle piattaforme di mainstream, specialmente Twitter, che permetteva di massimizzare la loro visibilità. Però, da metà del 2015, di fronte alla reazione dei governi e delle compagnie tecnologiche, i jihadisti hanno iniziato a preferire altre, meno conosciute e meno accessibili piattaforme, in particolare Telegram.

Secondo Fisher e Prucha (2019)[16], ulteriori modalità di protezione di questi canali sono date dall’utilizzo della lingua araba come requisito per accedere ai network clandestini e dalla conoscenza dell’uso coerente di un linguaggio religioso codificato, e di keywords, di cui pochi ricercatori fanno menzione nei loro studi, e che si configurano proprio come “firewall” linguistici nel primo caso, e di iniziazione nel secondo.

Sino al 2019 a sua volta, questa piattaforma di messaggistica istantanea ha giocato un ruolo chiave per le attività alla base del jihadismo virtuale, in particolare grazie alla modalità di crittografia delle chat che garantiva privacy ed anonimato, e per la capacità di condividere materiale multimediale a un elevato numero di utenti[17]. Successivamente però ad una operazione coordinata tra Europol e Unione Europea, tesa a destabilizzare il network di IS proprio su questa piattaforma, il gruppo terroristico ha dovuto rinnovare la sua strategia digitale.

Secondo il report di Europol (2021), dopo questo attacco, IS è stata costretta a decentralizzare la sua presenza online su una vasta serie di piattaforme differenti, che si snodano tra la messaggistica istantanea, il mondo open source e persino le piattaforme di gioco online. La scelta di quest’ultimo ambito non è casuale, ma è il contesto ideale per intercettare giovani adulti da radicalizzare in maniera indiretta tramite il contesto videoludico.

Le piattaforme social vengono comunque ancora utilizzate, perché supportano una maggiore esposizione mediatica che i canali Telegram non permettono di avere, e in particolare mediante la tecnica del “flooding”, una letterale inondazione di messaggi propagandistici all’interno delle sezioni commenti di post o video, pubblicati da pagine ufficiali di organi di informazione, testate giornalistiche o altri account, contraddistinti da un alto numero di followers[18]. L’attivismo online è fortemente coadiuvato dai supporter, perché si configura come un’alternativa soddisfacente per quegli individui che non sono stati capaci di realizzare i loro piani di viaggiare verso il “fronte” o di essere parte della militanza di una organizzazione jihadista[19].

Sebbene Daesh dimostri una spiccata preparazione nel dominio della propaganda e della proliferazione di materiale a contenuto informativo e di supporto alla causa salafita, è noto che la stessa preparazione non sia realmente presente nel contesto della vera e propria “cyberwarfare”: la Relazione Annuale sulla Politica dell’ Informazione per la Sicurezza 2021 ci informa infatti che l’Europa nell’anno 2020 è stata colpita da attacchi “a bassa tecnologia”, condotti da attori solitari, privi di legami con organizzazioni terroristiche; attivazioni autonome che si connotano per la loro imprevedibilità e che hanno evidenziato ancora una volta il ruolo determinante della propaganda jihadista nel passaggio all’azione violenta[20].

Questa modalità di attacchi viene compresa anche alla luce del tipo di informazioni che possono essere ricavate dal web: Marone (2019) spiega infatti che, sebbene vi sia un’ampia produzione di istruzioni e informazioni sulle modalità e gli strumenti utili per perpetrare un attacco, allo stesso tempo si tratta di contenuti introduttivi e generici, in parte perché gli autori e gli utilizzatori delle diverse piattaforme sanno di essere monitorati dai servizi di intelligence[21], in parte perché sono documenti che andrebbero coniugati con una preparazione tecnico pratica che spesso agli aspiranti terroristi manca.

Ultimo ma non meno importante è l’utilizzo della Rete per il finanziamento: la sussistenza di strettissime interazioni economico finanziarie tra gruppi terroristici, organizzazioni criminali e circuiti economici legali rende ancor più globale la portata della minaccia, accentuata dalle innovazioni nei servizi finanziari, dall’evoluzione tecnologica e dal dark web, utili a garantire potenzialmente alle organizzazioni sempre nuovi strumenti e metodologie di finanziamento (crowfunding, valute virtuali, new digital payment, pagamenti contactless, Informal Value Transfer Systems– IVTS) e di trasferimento di fondi[22]. Sebbene i nostri servizi di intelligence assicurino che l’utilizzo di questi canali di finanziamento non sia strutturato, essi sono oggetto di costante monitoraggio da parte delle Forze di Polizia in azione coordinata. Una grande sfida, che forse può essere decretata già aperta, verrà rappresentata in un futuro prossimo  inoltre dall’utilizzo di Bitcoin[23].

Bibliografia

Al-Rawi, A. (2018). Video games, terrorism, and ISIS’s Jihad 3.0. Terrorism and Political Violence, 30(4), 740-760.

Manuel Castells, The Rise of the Network Society: The Information Age: Economy, Society, and Culture (Oxford, UK: John Wiley & Sons, 2011), xxvii.

Cossiga, A. M. (2021). Strategie e azioni delle organizzazioni jihadiste durante la pandemia. Strategie e azioni delle organizzazioni jihadiste durante la pandemia, 61-66, in “Futuro del terrorismo di matrice jihadista: evoluzione della minaccia, strumenti di contrasto e strategie di prevenzione”. Milano: Ledizioni, 2021.

Europol (2022), Online Jihadist Propaganda 2021 in review, Publications Office of the European Union, Luxembourg

Fisher, A., & Prucha, N. (2019). Follow the white rabbit–tracking IS online and insights into what Jihadists share. Digital jihad. Online Communication and Violent extremism, 43-70.

Maddiona V. (2017). La radicalizzazione dei foreign fighters: analisi psicosociale e prospettive di intervento. Sapienza Università di Roma.

Marone, F. (2019). Digital Jihad: online communication and violent extremism. Digital Jihad, 1-160.

Marone, F. (2019). Violent extremism and the internet, between foreign fighters and terrorist financing. Digital Jihad: Online communication and violent extremism, 10-25.

Melcangi, A. (2021). Il Medio Oriente alla prova del Covid-19: le conseguenze socio-economiche e le sfide alla sicurezza interna e regionale. Il Medio Oriente alla prova del Covid-19: le conseguenze socio-economiche e le sfide alla sicurezza interna e regionale, 67-79, in “Futuro del terrorismo di matrice jihadista: evoluzione della minaccia, strumenti di contrasto e strategie di prevenzione”. Milano: Ledizioni, 2021.

Mugavero R., Maddiona V., Sabato V. (2018) La conquista del territorio cibernetico: lo Stato Islamico e l’utilizzo del web. CSA Magazine http://www.csa-magazine.eu/

Pagani, A. (2021). La visione politica del terrorismo jihadista. La visione politica del terrorismo jihadista, 23-40, in “Futuro del terrorismo di matrice jihadista: evoluzione della minaccia, strumenti di contrasto e strategie di prevenzione”. Milano: Ledizioni, 2021.

Erin Saltman and Charlie Winter, “Islamic State: The Changing Face of Modern Jihadism,”Quillam, November,2014,https://www.quilliamfoundation.org/wp/wp-content/uploads/publications/free/islamic-state-the-changing-face-of-modern-jihadism.pdf (accessed June 10, 2016)

Scott Shane and Ben Hubbard, “ISIS Displaying a Deft Command of Varied Media,” The New York Times, August 30, 2014, http://www.nytimes.com/2014/08/31/world/middleeast/isis-displaying-adeft- command-of-varied-media.html?partner=rss&emc=rss&smid=tw-nytimes&_r=0 (accessed October 25, 2015)

Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica, “Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2021”. Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Steve Rose, “The ISIS Propaganda War: A Hi-techMedia Jihad,” The Guardian, October 7, 2014, http://www.theguardian.com/world/2014/oct/07/isis-media-machine-propaganda-war (accessed July 23, 2015)

Soriano, M. R. T. (2019). Seven Premises of Jihadist Activism on the Internet. Digital Jihad: Online Communication and Violent Extremism.

Soriano M.R. T. (2012) “The Vulnerabilities of Online Terrorism”, Studies in Conflict and Terrorism, vol. 35, no. 4, pp. 263-277.

Riferimenti

[1] Cossiga, 2021.

[2] Cfr. https://www.aljazeera.com/news/2020/6/14/al-shabab-sets-up-coronavirus-treatment-centre-in-somalia

[3] Melcangi, 2021.

[4] Cossiga, 2021.

[5] https://ilmanifesto.it/jihadisti-al-tempo-del-virus-la-malattia-dipende-dagli-ordini-di-allah

[6] Maddiona, 2017.

[7] Cossiga, 2021; passo tratto dalla “Guida Generale per la pratica jihadista” emanato da Al-Qaeda.

[8] Pagani, 2021.

[9] Mugavero, Maddiona, Sabato, (2018).

[10] Marone, (2019).

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] Shane and Hubbard (2014) in Al- Rawi (2018). “The term is originally derived from Web 3.0, which developed from Web 2.0. According to Manuel Castells, this new phenomenon refers to “the cluster of technologies, devices, and applications that support the proliferation of social spaces on the Internet thanks to increased broadband capacity, open source software, and enhanced computer graphics and interface, including avatar interaction in three dimensional virtual spaces”. Al-Rawi (2018).

[14] Saltman and Winter (2014) in Al-Rawi (2018).

[15] Rose (2014) in Al-Rawi (2018).

[16] in Marone (2019).

[17] Secondo Fisher e Prucha (2019) il canale Telegram di Daesh chiamato “The Caliphate Library” sembra contenere 908 documenti PDF, per un totale di 111.000 pagine.

[18] Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri (2021).

[19] Torres Soriano (2019) in Marone (2019).

[20] Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri (2021).

[21] Cfr. Torres Soriano (2012).

[22] Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri (2021).

[23] Marone (2019) ci mette già in guardia: “the Izz ad-Din al-Qassam Brigades, the armed wing of Hamas, has already developed a sophisticated campaign to raise funds using Bitcoin, through its website, available in several languages”.

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