È valido il verbale delle operazioni d’intercettazione redatto unicamente in formato elettronico

di Luigi Petrucci e Angelo Piraino

Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza n. 8442 del 4 dicembre 2013 e depositata il 21 febbraio 2014

La Suprema Corte con la sentenza n. 8442/2013 ha affermato che è valido il verbale delle operazioni di intercettazione telefonica redatto unicamente in formato elettronico, anche senza l’apposizione della sottoscrizione del pubblico ufficiale.


Nell’ambito di una vicenda cautelare relativa all’ipotesi accusatoria di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di falso (nel caso di specie falsi trasferimenti di residenza) per alterare il corpo elettorale di un comune, la Cassazione traccia un primo abbozzo dello statuto giuridico dell’atto processuale digitale nell’ambito del processo penale.

Il primo motivo di censura è, infatti, rivolto verso i verbali di inizio e fine delle intercettazioni disposte nel corso delle indagini, che non erano stati stampati e firmati, come usualmente avviene, ma erano stati prodotti agli atti unicamente in formato digitale e, precisamente, in formato “Word”(1) senza firma digitale. Il dato di fatto si apprende dalla lettura del motivo di censura e viene dato per scontato dalla Cassazione nell’esame della doglianza, poi risolta con l’affermazione di questo principio di diritto: “…tra le modalità di comunicazione di cui agli artt. 134 e ss. c.p.p., deve essere incluso anche il verbale redatto con modalità elettroniche e, se appare certamente più funzionale e più sicuro procedere ala stampa (e alla sottoscrizione “grafica”) del predetto verbale, non di meno esso deve ritenersi esistente e valido anche se sia rimasto nella sola versione elettronica”.
Si tratta di un principio molto importante, frutto di un’interpretazione evolutiva e combinata delle disposizioni in tema di crimini informatici e della legislazione sugli atti e documenti digitali, che invita a qualche riflessione sullo stato attuale del processo penale telematico.

Anzitutto alcune considerazioni sul “fatto processuale” esaminato dalla Suprema Corte. Come si è accennato, il testo della motivazione non si diffonde molto sul punto: nel riportare la censura si afferma che la difesa si è lamentata del fatto che i files sono stati messi a disposizioni in formato “Word”, modificabile in qualsiasi momento, ove non stampato e firmato, in quanto residente solo sulla memoria di un computer. In realtà se i files sono stati messi a disposizione è stato certamente utilizzato un supporto o effettuata una comunicazione elettronica: in entrambi i casi il file avrebbe assunto una relativa certezza, come diremo nel corso di questo commento.

L’esperienza lascia ipotizzare che i files contenenti i verbali fossero stati acquisiti agli atti del procedimento in copia su supporto CD/DVD, depositati in segreteria e, quindi, inseriti nell’indice degli atti. La data (quanto meno dell’acquisizione della copia agli atti del procedimento) e la provenienza dei files sarebbe attestata da un pubblico ufficiale, mentre la (sempre relativa) non modificabilità dei files sarebbe assicurata dal tipo di supporto utilizzato. In questo caso non si dovrebbe parlare di files “Word” residenti su supporti che consentono la modificazione del file direttamente sul supporto, come avviene nel caso di pen-drive o del disco rigido del computer. In ogni caso, al momento del rilascio della copia al difensore proveniente dalla memoria del computer ove i files erano residenti, vi sarebbe stata un’attestazione di conformità della segreteria, con conseguente operatività del disposto degli artt. 54, co. 2 e 64, co. 4, d.a. c.p.p. Forse ancor maggiore la “certezza” dell’atto in caso di comunicazione elettronica al difensore.
In punto di diritto il ragionamento parte dalla tutela penale del documento digitale, progressivamente affermata dalla legislazione in materia, che porta l’interprete più autorevole ad attribuirgli lo stesso valore giuridico del documento cartaceo. La conferma di questo principio viene, poi, dal d.lg. n. 82 del 2005 ovvero dal Codice dell’Amministrazione Digitale (di seguito C.A.D.), che ha fissato lo statuto del documento informatico.
La Suprema Corte ricorda di aver già più volte fatto applicazione di questo principio nell’esame di ipotesi di responsabilità penale e cita, fra le altre, anche il caso della bancarotta documentale semplice, ritenuta sussistente per la perdita del supporto informatico che conteneva il bilancio redatto in formato digitale e non (anche) cartaceo (Cass. Sez. 5, n. 35886 del 20/07/2009 – dep. 16/09/2009, Corsano e altro, Rv. 244921).
Si tratta di affermazioni che vanno al di là del caso di specie e tracciano un punto fermo per la costruzione di un processo penale telematico ovvero la possibilità che anche per il processo penale, come in quello civile, si possa astrattamente prescindere da un documento cartaceo che dia forma all’atto processuale.

Chiudono l’argomentazione il rilievo che l’assenza di sottoscrizione (indubbiamente non presente nel caso di specie: sul punto torneremo fra un attimo) è causa di nullità relativa e non di inutilizzabilità ed alcune considerazioni sul formato del documento digitale. Secondo i giudici di legittimità, infatti, a tutela della non modificabilità sarebbe preferibile l’utilizzo del formato “PDF” (2), anziché del formato “DOC” (3), ma osservano pure che esistono sistemi di analisi del sistema in grado di verificare eventuali modifiche ad un file “DOC” e che, in ultima analisi, anche il documento cartaceo può essere falsificato.
In ogni caso l’Estensore avverte la possibilità di successive critiche al principio di diritto affermato e si premura, pertanto, di avvisare gli operatori del diritto che la stampa del file è modalità più funzionale e più sicura.

Il taglio pratico di questo intervento ci induce a sottoscrivere con convinzione quest’ultima affermazione, dovendosi ritenere poco prudente affidarsi alla documentazione di un atto processuale così delicato come i verbali di inizio e fine delle operazioni di intercettazione ad un file “Word” residente su un computer (ma, più in generale, ad un file “Word” senza firma digitale ovunque memorizzato), per via della sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 270, co. 1, c.p.p. in caso di loro assenza.
Se si vuole ricorrere a questo mezzo vanno seguite le coordinate normative, solo accennate nella sentenza in commento, dettate dal C.A.D. e dai regolamenti del Ministero della Giustizia in tema di processo telematico civile e penale, volte ad assicurare al documento che racchiude un atto processuale lo stesso valore del documento cartaceo, anche sotto il profilo della sottoscrizione, tema lasciato un po’ in ombra dalla decisione della Cassazione in commento.

Il C.A.D. nasce storicamente da un corpus di norme in materia di documentazione amministrativa, destinate in origine a disciplinare l’agire telematico della P.A., ma si è nel tempo evoluto sino a divenire un vero e proprio «codice civile informatico», poiché contiene norme di diritto comune che disciplinano la validità dei documenti informatici e delle comunicazioni informatiche anche nei rapporti tra privati.

Non appare condivisibile, tutto, l’affermazione della suprema corte laddove rileva che l’applicazione nell’ambito del processo penale dei principi in materia di documento informatico sarebbe possibile attraverso l’utilizzo dell’analogia, consentita in tale campo. Ed infatti le recenti riforme legislative, volte a disciplinare la possibilità di processi telematici, anzitutto nel settore civile (la cui parziale forma telematica dovrebbe addirittura diventare obbligatoria dal 30 giugno 2014), hanno ulteriormente disciplinato la forma dell’atto processuale telematico anche con riferimento al processo penale.

Assume particolare importanza, al riguardo, la legge n. 24/2010 di conversione del decreto legge del 29.12.2009, n. 193, che all’art. 4 ha introdotto una fondamentale valvola di interconnessione tra il C.A.D. e la disciplina processuale, sia civile che penale, prevedendo l’applicazione diretta in ambito processuale dei principi dettati dal C.A.D. per il tramite di regole tecniche adottate con apposito decreto del ministro della giustizia.
Tali regole tecniche sono state emanate con il D.M. n. 44/2011, sia per il processo civile che per quello penale, regolamento che ha disciplinato il formato elettronico degli atti processuali, le loro modalità di trasmissione sia in entrata che in uscita, nonché altre indicazioni in materia di pagamenti telematici e punti di accesso.
Ancorché sia intitolato regolamento tecnico, tale regolamento contiene vere e proprie norme giuridiche, demandando, poi, con l’art. 34 ad un apposito provvedimento del Responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati la determinazione delle specifiche tecniche di maggiore dettaglio, poi varate da quest’ultimo con il decreto del 18 luglio 2011.
Questo tessuto normativo è stato modificato dal D.L. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221/2012, alla quale è seguito il D.M. n. 209/2012, che ha introdotto modifiche alle regole tecniche del D.M. n. 44/2011.

Non è questa la sede per commentare l’attuale e recente assetto normativo, ma ai fini del commento della sentenza può essere utile ricordare alcuni principi che regolano il processo telematico e che devono essere tenuti presenti per stabilire il regime di validità del verbale su supporto informatico. Essi sono:

  1. la separazione tra flussi di trasmissione di atti e tutti gli altri servizi;
  2. l’accesso al sistema previa sempre autenticazione forte (firma digitale);
  3. lo scambio dei flussi basato su P.E.C. ordinaria (v. d.p.r. 68/2005);
  4. il valore legale per comunicazioni e notifiche telematiche a particolari indirizzi P.E.C. (art. 16 d.l. 185/2008);
  5. l’attivazione dei servizi telematici negli uffici giudiziari rimessa ad apposito D.M. (v. art. 35 regole tecniche e art. 51 d.l. 112/2008: il d.l. 179/2012 ha stabilito alcune date nelle quali il passaggio al telematico sarà obbligatorio, ad es. nel penale la notifica alle parti diverse dall’imputato sarà obbligatoria dal prossimo dicembre).

Dal complesso delle norme precedentemente indicate si trae, dunque, il riconoscimento normativo in via diretta, in campo processuale, della nozione di documento informatico, dettata dall’art. 1, lett. p) del C.A.D., (“rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”), nonché la nozione di firma elettronica, indicata come “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica”.
Tra i principi del C.A.D. che devono ritenersi di immediata applicazione al processo penale vi è, inoltre, quello dettato dall’art. 20, comma 1-bis, a mente del quale “L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualita’, sicurezza, integrità’ ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21”.

La concreta declinazione della regola sulla libera apprezzabilità in giudizio del valore probatorio del documento informatico è contenuta, tuttavia, nel successivo art. 21, il quale, in relazione ai contesti di formazione del documento ed alle sue caratteristiche tecnologiche intrinseche vi associa un differente regime giuridico di validità.
In generale l’art. 21, co. 2, prevede che: “Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 20, comma  3,  che  garantiscano l’identificabilita’ dell’autore, l’integrita’ e l’immodificabilita’ del documento, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 c.c. L’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria”. È questa la c.d. firma elettronica avanzata ed i suoi sottotipi della firma elettronica qualificata e della firma digitale, che sono caratterizzati da un tipo di connessione al documento informatico tali da consentire l’identificazione del firmatario del documento, da garantire la connessione univoca del documento al firmatario, e che sono creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati (così l’art. 1, lett. q-bis del C.A.D.).

Ad essa si contrappone la c.d. firma elettronica debole, costituita da un qualunque insieme di dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica, senza, dunque, le garanzie della connessione univoca al documento e dalla rilevabilità delle successive modifiche al documento (così l’art. 1, lett. q del C.A.D.). È questo il caso del documento inserito in un sistema informatico al quale si accede mediante identificazione a mezzo username e password ovvero del documento trasmesso a mezzo posta elettronica semplice, di cui il mittente si assuma la paternità nel testo del messaggio. In questo caso sul piano probatorio l’art. 21, co. 1, prevede che il valore probatorio di tale documento sia liberamente valutabile in giudizio “tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”.
Ciò che appare imprescindibile, in ogni caso, per la valutazione del valore probatorio di un documento informatico è che esso sia sottoscritto con almeno una delle tipologie di firma elettronica contemplate dal C.A.D.

Assumono, inoltre, un particolare rilievo, al fine di effettuare tale valutazione, le caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità del documento informatico in esame.
Applicando tali principi al caso di specie, le premesse esplicate dalla stessa Suprema Corte di Cassazione circa le caratteristiche di particolare modificabilità del formato di documento (un documento formato mediante un comune programma di elaborazione dei testi) e circa l’assenza di alcuna forma di firma elettronica avrebbero dovuto, dunque, indurre ad una particolare cautela nella valutazione del valore probatorio del documento in esame.

Conclusioni diverse avrebbero potuto trarsi nell’ipotesi in cui il documento oggetto della censura di illegittimità fosse stato trasmesso per posta elettronica (circostanza idonea a configurarlo come sottoscritto con firma elettronica debole) o comunque custodito in un sistema informatico per l’accesso al quale viene richiesta una identificazione a mezzo username e password, ovvero laddove fosse stato custodito su un supporto di memorizzazione non modificabile (come il CD-ROM), dal che sarebbero derivate differenti caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità dei dati.

Va, peraltro, evidenziato che in materia di valutazione della validità degli atti processuali la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito in tema di verbali non firmati, con firma illeggibile e/o senza data che: “Non sono causa di nullità del verbale delle operazioni relative alle intercettazioni telefoniche la mancata indicazione della data e del luogo di formazione dello stesso e la illeggibilità della firma del pubblico ufficiale che lo ha redatto” (Cass. Sez. 1, n. 21054 del 04/03/2010 – dep. 04/06/2010, Bruno e altro, Rv. 247573, ma anche Cass. Sez. 1, n. 8836 del 02/12/2009 – dep. 05/03/2010, Bragaglio e altri, Rv. 246377), e ciò in quanto l’atto formato da P.U. viene ritenuto più attendibile di quello formato da un privato per le caratteristiche organizzative dell’Amministrazione e le più severe conseguenze penali alle quali va incontro il P.U. in caso di falsa attestazione.

Va ricordato pure che il giudice potrebbe acquisire la prova della genuinità e tempestività della redazione del verbale digitale ascoltando gli agenti di P.G. che lo hanno redatto in formato digitale (con o senza i crismi formali previsti dal C.A.D.) ovvero che si proceda alla sua correzione. Questo è già accaduto nei casi in cui dal verbale non risultava chiaro se le operazioni si fossero svolte o meno presso gli impianti installati in Procura, disposizione pure prevista a pena di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, con conseguente possibilità di correzione (cfr. Cass. Sez. 1, n. 33079 del 18/04/2011 – dep. 05/09/2011, Lo Nigro, Rv. 250668).
Pur considerati questi riferimenti normativi e giurisprudenziali, l’esperienza pratica nel caso da ultimo citato, proveniente dal Tribunale di Palermo da cui è partita la questione, è che vi è stata una notevole disparità di vedute nel Supremo Collegio, non registrata dal CED. Nel caso di specie, infatti, i verbali di fine operazione davano atto che le operazioni di ascolto si erano svolte presso i locali della Polizia Giudiziaria, mentre in realtà si trattava di ascolto remotizzato, senza che pertanto il P.M. avesse autorizzato l’uso di impianti esterni. Alcune decisioni hanno ritenuto che la situazione si poteva correggere o sanare sentendo i verbalizzanti, altre hanno preso dell’assenza di motivazione per l’uso di impianti esterni ed hanno annullato i provvedimenti cautelari e non è detto che in futuro lo stesso caso qui in commento possa essere deciso nello stesso modo. Sarebbe più sicuro se il verbale fosse trasmesso per posta elettronica o, a maggior ragione a mezzo di P.E.C., anziché essere consegnato su supporto CD o DVD

NOTE

  1. “Word” è un programma di videoscrittura prodotto da Microsoft, tutelato da copyright e distribuito con licenza commerciale. È parte della suite di software di produttività personale Microsoft Office, ed è disponibile per i sistemi operativi Windows e Macintosh (fonte Wikipedia).
  2. Il Portable Document Format, comunemente abbreviato “PDF”, è un formato di file basato su un linguaggio di descrizione di pagina sviluppato da Adobe Systems nel 1993 per rappresentare documenti in modo indipendente dall’hardware e dal software utilizzati per generarli o per visualizzarli (fonte Wikipedia).
  3. “DOC” è l’estensione dei file dei documenti di testo creati con il programma Microsoft Office Word. La sua estensione è il formato “DOCX” introdotta con la versione 2007 di Microsoft Office. È possibile convertire i file in formato “DOC” in “DOCX”, ma le versioni precedenti a “Word” 2007 (fino alla versione 2000) devono installare un pacchetto di compatibilità per poterle visualizzare (fonte Wikipedia).◊
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