Andamento della riforma della Curia e prossimi passi

di Simona Usai

Bollettino n. 643 della Sala stampa della Santa Sede – XVI Riunione del Consiglio di Cardinali (12-14 settembre 2016)

Il Consiglio di Cardinali si è riunito con il Santo Padre per la XVI volta nei giorni 12-14 settembre 2016. Le riunioni sono state dedicate in gran parte a ulteriori considerazioni in merito al modo in cui i vari dicasteri della Curia possano meglio servire la missione della Chiesa. I Cardinali Consiglieri hanno esaminato poi gli ultimi passi già compiuti nel processo della riforma, specialmente con l’istituzione del nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. La Segreteria per la Comunicazione ha consegnato un dossier ai Cardinali sull’andamento della riforma nel settore e dei prossimi passi, come da progetto. La prossima riunione avrà luogo nei giorni 12, 13, 14 dicembre 2016.
Sono trascorsi più di 3 anni ormai dall’inizio dei lavori: è il momento di tirare le somme e far confluire gli sforzi della C9 in un progetto forte e deciso, come Papa Francesco, il suo ispiratore.

 


Fratelli e sorelle, buonasera. […] Sono venuti a prendermi dalla fine del mondo […]. Pregate per me”. Queste le prime parole pronunciate da Mario Jorge Bergoglio, poco dopo la sua investitura a capo della Chiesa di Roma. Un uomo che ha da subito conquistato il cuore di chi lo attendeva, l’uomo capace di colmare ogni distanza, di servire più che ad essere servito. Ed è in quest’ottica che Papa Francesco, già da un mese dal suo insediamento, ha iniziato a pensare che qualcosa di concreto andasse realizzato e/o cambiato; da qui l’attenzione verso la Curia papale e alla sua riforma. Papa Francesco chiama otto Cardinali, che poi diverranno nove, provenienti da tutti i continenti e istituisce il “Consiglio dei Cardinali”, il c.d. C9, per collaborare con lui nel progetto di riforma della Curia.

Non è questo il primo tentativo di riforma della Curia romana che la storia ricordi. Nel 1588 Papa Sisto V, con la Immensa Aeterni Dei, riorganizzò l’insieme degli uffici che si occupavano di governare la diocesi di Roma e insieme la Chiesa tutta. Egli portò a 15 i collegi all’interno dell’unico Collegio Cardinalizio, formato da cardinali, nominati per un periodo definito e competenti per materie. Nacquero così i primi 15 dicasteri. Nel 1910 Pio X, con la Costituzione Sapienti Consilio, riordinò, senza stravolgere, la Curia, che rimase l’insieme degli organismi di cui il Papa si serviva per trattare gli affari della Chiesa universale. Le congregazioni della riforma di Pio X erano 12, tre i Tribunali e quattro gli Uffici, tra cui la Segreteria di Stato. Nel 1967 Paolo VI, con la Costituzione Regimini Ecclesiae Universae, cercò di riformare la Curia, a seguito delle critiche emerse durante il Concilio proprio nei confronti della Curia romana.
Sul modello di Curia di papa Paolo VI, ovvero di “un organo di diretta appartenenza e assoluta ubbidienza, di cui si serve il pontefice romano per svolgere la sua missione universale”, i padri conciliari del Vaticano II non erano d’accordo. Essi riconoscevano sì che, da una parte le autorità curiali sono organi ausiliari del papa, ma sottolineavano, d’altra parte, che l’operare di queste autorità doveva essere orientato al bene delle chiese particolari. In tal modo il concilio chiaramente segnalava che la Curia non rappresentava soltanto un braccio prolungato del Papa, un posto di comando, bensì una centrale della chiesa universale. Il 28 giugno 1988 venne promulgata da Papa Giovanni Paolo II la costituzione apostolica conosciuta come “Pastor bonus”, alla quale Benedetto XVI apportò solo pochissime modifiche.
Oggi, infatti, la Curia romana è formata dalla Segreteria di Stato, Congregazioni, tra le quali la dottrina della fede, Consigli pontifici, tre Tribunali, Pontificie Commissioni, nonché ulteriori Segretariati ed uffici.

Dall’insediamento della C9 ad oggi sono trascorsi più di tre anni, durante i quali la Commissione è intervenuta, istituendo:

Altro aspetto molto attenzionato da Papa Francesco è quello relativo ai comportamenti posti dai suoi Vescovi nel proteggere coloro che gli siano stati affidati. Implicito il riferimento ai casi di abusi sui minori. Un anno fa, al termine di una riunione del Consiglio dei Cardinali, venne persino proposta l’istituzione di un tribunale per punire i vescovi negligenti, che poi non ebbe seguito. Così, il 4 giugno 2016 il Papa ha pubblicato una lettera (in forma di motu proprio) “Come una madre amorevole” per chiarire che tra le “cause gravi” di rimozione dei Vescovi diocesani dai loro incarichi deve essere compresa anche la negligenza degli stessi nell’esercizio del loro ufficio. Nella lettera è prevista una procedura più semplificata di rimozione dall’incarico affidato.

Ad oggi, dunque, tanto è stato fatto ma tanto ancora resta da fare; sembra, infatti, che nelle intenzioni del Papa via sia anche quello dell’istituzione di un organismo per il Culto Divino e la Vita Consacrata, ed altro ancora. Se volessimo fare un brevissimo bilancio del lavoro svolto dalla C9 probabilmente dovremmo ispirarci alle parole di Mons. Semeraro, segretario della Commissione, il quale in una recente intervista rilasciata all’Osservatore romano, ha precisato che il termine “riforma“, tanto ieri con Paolo VI, quanto oggi con Francesco, va inteso nel senso di un riordino, di un miglioramento e adattamento alle res novae. Non come il ripristino di un’ideale situazione iniziale, che nel caso della Curia romana sarebbe se non altro problematico da individuare”. Non dobbiamo attenderci una rivoluzione, ma un’opera di armonizzazione dei diversi organismi, adattata ai tempi che stiamo vivendo e alle esigenze che maturano e che cambiano.

La difficoltà di riformare la Curia romana è dovuta anche al sistema sulla quale essa è poggiata. Francesco si è trovato dinanzi ad un apparato rigido, centralistico, popolato da vescovi, arcivescovi o cardinali e comunque persone di pari rango, con un complesso sistema burocratico. Da qui forse la necessità di creare un gruppo di lavoro formato da cardinali che vivono al di fuori della struttura pontificia e che hanno contatti diretti con coloro che sono nel bisogno in altre parti del mondo.
Il vento riformatore di Francesco, Papa forte e disponibile al servizio, lo abbiamo compreso sin dai primi giorni di pontificato, ove già nelle prime omelie e nei primi discorsi faceva riferimento a due temi: la discontinuità col passato, non quale scelta mediatica, ma quale volontà di tradurre il Vangelo nella quotidianità di una Chiesa forse ancora relegata ai riti e alle tradizioni (talvolta lontane dai veri bisognosi), e la misericordia, che è divenuta centrale per Lui, tanto da dedicarvi un giubileo straordinario. Una riforma in grado di ridurre le strutture di potere e di avvicinare i fedeli, e magari capace di aprirsi alle donne, che in Vaticano sono poche e relegate a ruoli per lo più marginali, e tutto questo in una chiave di maggiore trasparenza.

Come tutte le idee riformatrici, anche questa può essere apparsa a qualcuno pericolosa, ma abbiamo speranza che Francesco sarà in grado di portare avanti il suo progetto, affinché si fregi ancora di ulteriori e più profondi passi in avanti. Non siamo certi che questi ultimi saranno indicati dalla Commissione Apostolica, che pure tanto ha già fatto, ma altro dovrà comunque esser fatto ad un livello ulteriore, apportando quei cambiamenti di cui vi è ancora tanto bisogno. Ripensare a certi apparati, dotandoli di personale qualificato e alleggerendoli di privilegi potrebbe essere un’operazione non facile, ma capace di riavvicinare i fedeli ad una istituzione che nel tempo ha ridotto la propria credibilità.
Affinché il lavoro reso dalla Commissione non sia vano, occorre quindi passare alla fase successiva, e circondarsi questa volta di persone diversamente qualificate e sufficientemente distanti dagli apparati dello Stato del Vaticano, forse più “tecniche”, per riprogettare strutture (anche periferiche) ed attuare un graduale trasferimento delle responsabilità “dal basso”, demandandole a chi esegue le diverse attività, come in una sorte di processo produttivo, ove il prodotto finale è costituito non da un bene in sé, ma da un “valore” che ciascuno è chiamato ad offrire per il raggiungimento di un obiettivo comune.©

 

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