L’impiego dei militari a tutela della sicurezza pubblica: dal contrasto alla criminalità organizzata all’esecuzione delle misure restrittive per il Covid-19 (III parte)

di Maurizio Taliano

Sviluppato su 18 paragrafi, lo studio si concentra sull’analisi giuridica delle norme che disciplinano l’impiego delle tre Forze Armate, Esercito, Marina e Aeronautica militare, in servizi di ordine e sicurezza pubblica, in concorso con le Forze di polizia. È esaminata l’evoluzione storica e giuridica di tali attività, che hanno subito un notevole incremento negli ultimi decenni, fino all’attuale impiego nelle verifiche della corretta esecuzione delle misure di contenimento e di contrasto della diffusione del contagio da COVID-19.
Sono, inoltre, approfondite le rilevanti implicazioni giuridiche dovute all’attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza e, conseguentemente, quella di pubblico ufficiale. Vengono analizzati i poteri e gli obblighi derivanti dall’assunzione di tali qualità, con riferimento anche ai rapporti che vengono ad instaurarsi con le Autorità di pubblica sicurezza.


11. La qualifica di agente di pubblica sicurezza

Le funzioni dell’Amministrazione della pubblica sicurezza sono esercitate dalle Autorità provinciali e locali di pubblica sicurezza e dagli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza.
Gli agenti di pubblica sicurezza sono i soggetti cui l’ordinamento attribuisce l’esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Considerando che gli agenti di P.S. svolgono tali compiti sotto la direzione delle Autorità centrali e provinciali di pubblica sicurezza e che tali compiti sono quelli attribuiti anche alle Autorità di pubblica sicurezza, è possibile affermare che gli agenti traducono in atto i poteri delle Autorità di pubblica sicurezza ed assicurano l’esecuzione delle disposizioni da queste emanate. Quindi, gli agenti di pubblica sicurezza hanno compiti esecutivi, alle dipendenze delle autorità e degli ufficiali di pubblica sicurezza.
La qualifica di agente di pubblica sicurezza, la posizione e le funzioni svolte sono disciplinate dalle disposizioni contenute nella parte ancora oggi vigente dei Capi II e III del R.D. 31 agosto 1907, n. 690 “Testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza”.

L’art. 34 del citato R.D. n. 690 del 1907 riporta le attribuzioni degli agenti di pubblica sicurezza che consistono nel:

  1. vegliare:
    • al mantenimento dell’ordine pubblico;
    • all’incolumità e alla tutela delle persone e delle proprietà;
    • alla prevenzione dei reati in genere;
  2. raccogliere le prove dei reati, procedere alla scoperta e, in ordine alle disposizioni della legge, all’arresto dei delinquenti;
  3. curare l’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, come pure delle ordinanze delle pubbliche autorità;
  4. prestare soccorso in casi di pubblici e privati infortuni.

I successivi artt. 36 e 37 dispongono che gli agenti di pubblica sicurezza:

In altri termini, gli agenti di pubblica sicurezza devono riferire alla polizia giudiziaria, osservate le prescrizioni del Codice di procedura penale, ogni reato commesso nei luoghi dove prestano servizio. L’omessa o ritardata denuncia all’Autorità giudiziaria, come si dirà in seguito, costituisce reato procedibile d’ufficio e comporta una sanzione penale.
I successivi artt. 39 e 40 del R.D. n. 690 del 1907 dispongono che gli ufficiali incaricati dell’esecuzione dei servizi di pubblica sicurezza possono richiedere l’intervento delle Forze Armate, quando siano insufficienti o non disponibili agenti di pubblica sicurezza delle Forze di polizia. In questi casi, tuttavia, i militari delle Forze Armate rimangono sotto il comando dei suoi capi militari, che, nell’esecuzione del servizio per cui sono stati richiesti, sono a disposizione degli ufficiali di pubblica sicurezza, ai quali ne spetta per intero la responsabilità.
Occorre però ricordare che tali disposizioni, ancora oggi in vigore, risalgono ad oltre un secolo fa e, quindi, la lettura va raccordata e coordinata con le più recenti e rinnovate disposizioni che vietano ai militari l’espletamento di funzioni di polizia giudiziaria. Se nelle disposizioni del vetusto Regio Decreto non vi sono sostanziali distinzioni tra le attribuzioni di polizia di sicurezza e quelle riferibili, almeno parzialmente, alla polizia giudiziaria, oggi la separazione di funzioni appare netta ed insormontabile, viste le più recenti e più volte reiterate disposizioni legislative.
Bisogna aggiungere che, sin dalla prima lettura delle vigenti disposizioni, appare chiaro il potere autoritativo e certificativo di colui che è investito della qualifica di agente di pubblica sicurezza dal quale discende anche la qualità di pubblico ufficiale, di cui meglio si dirà in seguito.
Se ne desume che in capo al militare, investito di queste particolari attribuzioni, tenuto in considerazione anche il giuramento prestato, la preparazione professionale e fisica, la disponibilità di equipaggiamenti e strumenti di dissuasione, sorga il dovere/potere di intervenire in determinate situazioni costituenti anche fatto reato, non fosse altro che per dovere etico e morale.
Bisogna precisare che, se l’attività d’indagine in senso stretto è sempre preclusa ai militari perché compito tipico della polizia giudiziaria (art. 347 C.P.P. “Obbligo di riferire la notizia del reato” e art. 348 C.P.P. “Assicurazione delle fonti di prova” che tra le prime operazioni impone la ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché la conservazione di esse e dello stato dei luoghi), le funzioni di pubblica sicurezza svolte dai militari impongono sempre l’attività di preservazione della scena del crimine.
Infatti, secondo l’art. 41 del R.D. n. 690 del 1907, i militari delle Forze Armate, quando intervengono sul luogo di un reato, sono incaricati, salvo i soccorsi che siano necessari, di impedire che, sino all’arrivo dell’autorità competente, venga alterato lo stato delle cose.
Secondo gli odierni canoni del Codice di procedura penale si può affermare che se i militari impegnati nell’operazione “Strade sicure”, durante l’espletamento del servizio, assistono alla consumazione di un reato o ne sono addirittura coinvolti, hanno l’obbligo di preservare e delimitare la scena del crimine, fino all’arrivo della polizia giudiziaria, per evitare che la stessa venga inquinata o alterata. Hanno, altresì, l’obbligo di raccogliere le prove di questi reati senza possibilità, tuttavia, di compiere attività limitative della libertà di persone o cose, riservate dal Codice di procedura penale alla polizia giudiziaria; non hanno potestà d’indagine, di arresto o di fermo in quanto tali atti sono di esclusiva competenza della polizia giudiziaria.
Occorre però rammentare che, nei limiti in cui l’operazione è concessa ai privati, anche i militari possono procedere all’arresto di persone colte in flagranza di gravi reati perseguibili d’ufficio e si trovino quindi ad affrontare le ipotesi previste dall’art. 383 “Facoltà di arresto da parte dei privati” del Codice di procedura penale.
Anche per i militari permane, come per ogni cittadino, la facoltà di eseguire l’arresto in flagranza di persone colte nell’atto di compiere gravi reati elencati nell’art. 380 “Arresto obbligatorio in flagranza” del Codice di procedura penale: tale facoltà può essere esercita solo per reati per i quali il citato articolo impone invece alla polizia giudiziaria l’arresto obbligatorio in flagranza di reato.
Tuttavia, il profilo di agente di pubblica sicurezza, che caratterizza i militari impiegati nei servizi di ordine e sicurezza pubblica, impone loro di compiere tutte le azioni necessarie a prevenire ed impedire che si commettano reati. Da queste considerazioni nasce l’esigenza di utilizzare, con maggiore diligenza e rigore, la facoltà di arresto concessa ai privati di cui all’art. 383 del C.P.P. poiché, rivestendo la qualità di pubblici ufficiali, tale facoltà è maggiormente vincolante di quella del privato. Trattasi, infatti, di vincolo rafforzato non solo dalle qualifiche rivestite, ma anche dagli obblighi imposti dal giuramento prestato, agevolato dalla preparazione tecnico-professionale e fisica nonché dalle armi e strumenti in dotazione.
I militari che hanno eseguito l’arresto dovranno, senza ritardo, consegnare l’arrestato e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria, immediatamente avvertita, la quale dovrà obbligatoriamente redigere il verbale della consegna e rilasciarne copia ai militari operanti.

12. Il conferimento della qualifica di agente di P.S.

Per quello che riguarda, in generale, il conferimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza, questa può avvenire:

Si ritiene che nel caso dei militari impegnati nei servizi di ordine e sicurezza pubblica la qualifica sia disposta direttamente ope legis, in forza della legge istitutiva dei servizi stessi, visto anche il numero elevato di militari impiegati e la rotazione, nel tempo, dei vari reparti impiegati nei servizi, i requisiti soggettivi ed oggettivi già previsti per l’arruolamento e la permanenza in servizio dei militari, nonché per il giuramento di fedeltà prestato.
Si reputa che la qualifica di agente di P.S. non sia rivestita permanentemente, bensì operi nell’esercizio delle funzioni, in via temporanea e alle condizioni stabilite dalla legge, nel periodo che intercorre dall’inizio al termine del servizio; in concreto dal momento dell’uscita dalla caserma per recarsi a prestare servizio fino all’effettivo rientro in sede, anche se successivo a quello preventivato, in analogia a quanto previsto dall’art. 8 della legge 27 dicembre 1941, n. 1570, ancora oggi in vigore, per gli appartenenti al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.

13. L’articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152: il concetto di Forza Pubblica

La qualifica di agente di P.S. supporta principalmente l’esecuzione, in caso di necessità ed urgenza, dell’identificazione e l’eventuale immediata perquisizione sul posto ai sensi dell’art. 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152.
Tale potere, legato indissolubilmente alla qualifica di agente di pubblica sicurezza, può essere esercitato esclusivamente nell’espletamento dei servizi appena menzionati.
Infatti, l’art. 4 della legge n. 152 del 1975 attribuisce un ampio potere “preventivo-coercitivo” non solo agli ufficiali ed agli agenti di polizia giudiziaria ma anche a quelli impiegati nell’ambito di operazioni di controllo come soggetti facenti parte della “Forza pubblica”.

Il termine “Forza pubblica” comprende tutti i soggetti:

In tale contesto, i militari agiscono in qualità di “Forza pubblica” come istituzione che concorre alla salvaguardia e al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica generale all’interno dello Stato e, conseguentemente, all’attuazione coattiva della volontà sovrana di esso, manifestata in qualunque delle sue funzioni.
In questo settore operano primariamente le quattro Forze di polizia ma, in particolari circostanze, possono concorrere ai servizi di ordine e sicurezza pubblica anche le Forze Armate, come nel caso di specie, o, all’occorrenza, anche i rappresentanti di altre organizzazioni come gli appartenenti alle Polizie locali, della Capitaneria di porto/Guardia costiera. Gli appartenenti a queste istituzioni rientrano nel concetto di “Forza pubblica”, potendo esercitare, in particolari circostanze, poteri coercitivi diretti sulle persone e sulle cose, caratterizzati dall’uso legittimo della forza in funzione del conseguimento di finalità di natura pubblica, nelle circostanze previste e determinate dalla legge.

14. L’articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152: l’identificazione e la perquisizione

L’identificazione e l’immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto, a norma dell’art. 4 della citata legge n. 152 del 1975, possono avvenire in casi eccezionali di necessità e di urgenza che non consentano un tempestivo intervento dell’Autorità giudiziaria al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione.
Nel concetto di “armi” sono comprese tutte le categorie di armi, anche quelle non da sparo: si ritiene che nella definizione rientrino anche quelle definite “armi improprie” il cui porto deve essere sempre giustificato, come gli strumenti atti ad offendere (es. strumenti da punta e da taglio, bastoni muniti di puntale acuminato, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche ecc.), gli strumenti il cui porto è sempre vietato, le armi con modesta capacità offensiva, gli strumenti riproducenti armi, da segnalazione acustica o quelli denominati soft-air.
Nella definizione di “esplosivi” rientra, sotto il profilo tecnico, ogni sostanza o miscela di sostanze che, in seguito ad adatto stimolo esterno (urto, sfregamento, percussione, azione chimica), può trasformarsi chimicamente, sviluppando, in un tempo brevissimo, una grande quantità di gas ad altissima temperatura e pressione.
Gli esplosivi sono quelli iscritti d’ufficio, disciplinati, classificati ed elencati da:
art. 82 e allegato A del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, “Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza”;
allegato I del D.Lgs. 19 maggio 2016, n. 81, “Attuazione della direttiva 2014/28/UE concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile”.
Rientrano altresì nella definizione quelli che la Corte di Cassazione, con plurime sentenze, ha distinto in:
esplosivi veri e propri dotati di micidialità, le cui condotte illecite integrano sempre delitti;
materie esplodenti prive di micidialità (con finalità di svago, come gli artifici pirici), che trovano disciplina nelle ipotesi contravvenzionali del T.U.L.P.S. e degli artt. 678 e 679 C.P.
Per esplosivi si intendono sia quelli di produzione industriale che artigianale.

Nella nozione di “strumenti di effrazione” rientrano gli attrezzi atti ad aprire o forzare serrature, arnesi atti allo scasso come le chiavi alterate, i grimaldelli, gli scalpelli in ferro, gli “spadini” il “tagliavetro” e il palanchino, tradizionalmente definito “piede di porco”, i trapani e, in generale, ogni altro strumento atto a forzare o rompere finestre, porte, mobili, casseforti, a scopo di furto.
La norma prevede che la perquisizione personale sia eseguita nei confronti di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo, non appaiono giustificabili. L’art. 7-bis del citato D.L. 23 maggio 2008, n. 92 concede una limitata e circoscritta estensione di tali poteri, ossia che l’identificazione e la perquisizione personale possano avvenire in situazioni e contesti concreti “anche al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati”, quindi come atto di mera prevenzione, per evitare che venga perpetrato, anche solo a livello di tentativo, un fatto costituente reato. L’attività in questione deve essere espletata prioritariamente nell’esecuzione di servizi di vigilanza fissa con una valutazione reale e concreta del pericolo potenzialmente incombente, circoscrivendo l’atto di prevenzione e, eventualmente, di successiva repressione, a probabili fattispecie di reato strettamente connesse a condotte violente o efferate che potrebbero realizzarsi sia nei confronti delle persone che delle strutture sottoposte a vigilanza.
Non è quindi consentito pianificare in modo preordinato servizi che prevedano perquisizioni personali, poiché l’esigenza di compiere l’atto deve sorgere come impellente necessità nell’espletamento del servizio, senza possibilità di dilazioni. ©

 

Exit mobile version